La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ma anche da Scicli, ed è stato scritto dalla volontaria Marta Barabino
Roma (NEV), 2 ottobre 2020 – Quando ho iniziato l’università, 5 anni fa, l’obiettivo principale della mia scelta era “partire, scoprire, andare lontano”. Piano piano, mi sono resa conto che bisogna iniziare da qui, da noi, dall’Italia. Quindi, per varie motivazioni, tra cui anche la fattibilità del progetto in periodo Covid-19, sono rimasta in Italia a realizzare la mia ricerca in antropologia.
Conoscevo Scicli, l’ho visitata in vacanza nell’estate del 2017, ma non sapevo dell’esistenza della Casa delle Culture. Il mio percorso di studi mi ha spinta a cercare le organizzazioni attive su territorio siciliano per la tesi della mia laurea magistrale, e così ho conosciuto Mediterranean Hope, e quindi Casa delle Culture.
Ho pensato che potesse essere utile per me fare un periodo di volontariato, conoscere la struttura, gli operatori e il funzionamento generale del lavoro: la mia occupazione principale, insieme ad altre volontarie, era l’animazione del centro estivo, con bambini dai 6 ai 12 anni; nel tempo passato insieme a loro, ho scoperto una grande unicità in ognuno di loro, e ho vissuto di nuovo la facilità dell’affezionarsi a bimbi che in realtà non conosco. Con il loro essere genuini, non hanno esitato a raccontarmi del loro viaggio verso l’Italia: “ho pianto tanto, tantissimo! E poi mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata, eravamo sulla nave, in viaggio”, mi ha raccontato N., 8 anni; altri mi raccontano piccoli aneddoti come “sono andato a comprare il pane da solo oggi! Però è papà che mi ha dato i soldi”; altri ancora inventano giochi, storie o avventure con le costruzioni Lego, che forse sono, in parte, una manifestazione del loro vissuto. Ogni giorno si acquista un po’ di fiducia in più, e benché la maggior parte di loro non si ricordi mai il mio nome, una parte parli poco l’italiano, si crea una grande intesa, fatta di gesti, sguardi, giochi.
Da parte degli operatori non è mai mancata l’attenzione verso la mia ricerca: consapevoli di ciò che cerco in Sicilia, i contatti, le chiacchierate e i momenti di scambio sono stati frequenti e opportunità di grande arricchimento personale e formativo; ho conosciuto Fatima, tornata in visita a Scicli, che ha avuto il tempo di raccontarmi la sua storia, unica e sorprendente; in collaborazione con il campo E!STATE LIBERI di Libera Ragusa, ho avuto la possibilità di partecipare a seminari di formazione ed informazione; ma ho avuto anche la possibilità di seguire il “ritorno” a casa con la mamma di un bimbo che ha passato un periodo in affidamento ad una famiglia italiana.
Essere volontaria alla Casa delle Culture è un’occupazione poliedrica: le proposte arrivano da tutti i fronti, le realtà da scoprire sono tante e la possibilità di farlo si trova sempre. Così è stato per Lampedusa: nel momento in cui io ho espresso il mio desiderio di andare a scoprire come fosse la situazione sull’isola, ci siamo messi in moto per capire come permettermi di trascorrervi almeno per un periodo della mia permanenza. L’Osservatorio sulle Migrazioni era chiaramente il contatto più diretto attraverso il quale passare, così abbiamo iniziato a organizzare la mia partenza praticamente nel momento in cui sono arrivata a Scicli.
Durante la mia permanenza, mi sono resa conto che la struttura stava affrontando un momento un po’ particolare, di transizione: alcune famiglie siriane accolte attraverso i Corridoi Umanitari prima del lockdown erano partite, gli alloggi per l’accoglienza erano quindi di fatto quasi tutti vuoti. Uno dei nostri incarichi, tra le altre mansioni, è stato anche quello di sistemare questi appartamenti: abbiamo raccolto una grande quantità di vestiti, giocattoli, peluches, e dato una ripulita generale. È stato un lavoro lungo e abbastanza faticoso, ma mi ha dato la possibilità e il tempo di riflettere su ciò che si intende con accoglienza: ad un certo punto occorre smettere di pensare al perché – pur sempre validissimi -, e concentrarsi sul come accogliere.
Questo principio acquisisce validità a livello anche più generale, nello studio delle azioni e reazioni umane: non chiedersi più perché accade o non accade, ma le modalità secondo le quali un fenomeno si costruisce e si mostra. Da lì, si può iniziar a capire come fare una buona accoglienza, come riconoscere i bisogni e le necessità di chi abbiamo davanti, attraverso quali strumenti cambiare e migliorare le azioni di intervento o di aiuto.
Questo ovviamente richiede grande capacità di osservazione, comprensione ed empatia. Un tipo di empatia che ci permetta però di mantenere la giusta distanza, e non di “prendere il posto” di chi fa esperienza dell’avvenimento: occorre allora, parafrasando Clifford Geertz “leggere sopra le spalle” di coloro che vivono in prima persona questi fenomeni, ai quali appartiene la narrazione e l’esperienza personale della migrazione e dell’accoglienza.
Il 1° ottobre sono atterrata a Lampedusa e starò qui un mese. Cosa mi aspetto? Di scoprire, imparare, vedere con i miei occhi ciò che finora ho solo letto e sentito raccontare. Non sarà mai sufficiente, non sarà mai esaustivo, ma dopotutto la realtà è fatta di tutte le nostre soggettività, esperienze e impressioni. Mi aspetto di crescere, di disciplinare la mia curiosità e il mio sguardo sulle cose del mondo. Essere finalmente sul campo è un’esperienza nuova, emozionante e carica di tensione. Voglio fare buon uso di questa opportunità.
A Scicli iniziano in questi giorni le attività di doposcuola, in collaborazione con i cantieri Educativi, al quale sono iscritti molti dei bimbi che hanno partecipato al nostro centro estivo. So che il primo giorno è andato bene, seguirò a distanza lo svilupparsi degli eventi, giorno dopo giorno.
Tornerò tra un mese cambiata, sicuramente, frastornata, molto probabilmente. Il confronto e l’incontro di queste due realtà potranno però aiutarmi ad allargare il mio sguardo, capire quante piccole e grandi sfaccettature nasconde il vasto e complesso mondo della migrazione e dell’accoglienza, a sapere meglio dove e come è possibile agire, iniziando da qui.