Respingere queste persone significa rimandarle in un luogo non sicuro.
Roma (NEV/CS08), 23 gennaio 2019 – “Siamo stati contattati dai familiari di persone disperse, che parlano di un’altra imbarcazione scomparsa nel Mediterraneo. Ci hanno riferito di un gommone su cui viaggiavano 95 persone, che sarebbe partito il 21 dicembre scorso, dal porto di Zuwara, città ad ovest di Tripoli, a bordo anche 20 donne e 5 bambini. La maggior parte delle persone era di origine eritrea, egiziana e bengalese. Di questa imbarcazione – dichiara Alberto Mallardo, operatore del programma rifugiati e migranti della Fcei, Mediterranean Hope (MH) a Lampedusa – non si sa più nulla. Lo abbiamo saputo dalle ricerche disperate di alcune persone che non sanno come rintracciare parenti e amici partiti e spariti nel nulla. Il problema è proprio questo: a chi chiedere informazioni? I superstiti, i parenti di chi parte, e anche noi come operatori sappiamo di non avere un interlocutore affidabile, che ci possa dare risposte certe. La Libia non è un luogo sicuro. Non solo le persone non vengono soccorse ma siamo di fronte anche a casi come questo che ci è appena stato riportato e che dimostrerebbe che altre persone sono morte, nell’indifferenza dei governi europei”.
MH collabora con la Ong spagnola Pro Activa Open Arms per sostenere gli interventi di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale.
“E’ finalmente chiaro a tutti che la sedicente guardia costiera libica non esiste – dichiara Riccardo Gatti, Comandante Astral e Capo Missione Open Arms – , si tratta di milizie armate che non solo violano i diritti delle persone ma non hanno alcuna competenza per portarle in salvo. Fermare le navi delle ONG significa lasciare morire uomini, donne e bambini senza che ci siano testimoni a denunciarlo”.