Pubblichiamo l’intervento di Paolo Naso andato in onda questa mattina, 5 agosto, su Radio1 RAI per la rubrica “Essere chiesa insieme” della trasmissione Culto Evangelico. L’autore è coordinatore del Programma rifugiati e migranti – Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
Roma (NEV), 5 agosto 2018 – Nessun altro argomento come l’immigrazione occupa le pagine dei giornali e monopolizza il dibattito politico. E’ così da tempo, ma la cronaca dei giorni scorsi ha fatto registrare un’escalation di violenza ed aggressività che non può non preoccupare.
Il 31 luglio un gruppo di clienti di un bar di Cala Gonone, Nuoro, si è rifiutato di farsi servire da Mamadou Yang, un cameriere senegalese di 18 anni, per altro stella nascente della squadra di calcio locale. Una bravata, si dirà, ma il 29 luglio è stato assai più grave l’uovo lanciato in faccia a Daisy Osaque, una ragazza italiana con la pelle nera che vive a Moncalieri, atleta di primo piano che ora rischia un fermo obbligato benché, speriamo, temporaneo.
Nello stesso giorno, ad Aprilia nei pressi di Latina, un gruppo di giustizieri della notte ha ucciso Hady Zaitouni, 43 anni, marocchino con qualche piccolo precedente penale, ritenendo che stesse per compiere un furto. Il 27 luglio a Partinico, in Sicilia, Dieng Khalifa, un giovane richiedente asilo originario del Senegal, che lavora come cameriere, è stato offeso con insulti razzisti – il solito “vattene sporco negro” – e pestato con violenza da un gruppo di italiani.
In tutti i casi, gli inquirenti si sono affrettati ad escludere la matrice razzista. Il vicepremier Matteo Salvini si è spinto oltre ed ha affermato che il razzismo è un’invenzione della sinistra e che il vero problema sono i reati commessi dagli immigrati. Il problema è molto serio e merita considerazioni più articolate e ponderate di qualche battuta ad effetto buona per il TG delle venti.
Il razzismo non è solo quello delle leggi sulla razza che l’Italia ha vissuto nel 1938; né soltanto l’apartheid sudafricano che sino al 1991 ha imposto la separazione tra bianchi, neri e meticci; né la segregazione razziale che negli Stati Uniti vietava ai neri di frequentare le stesse scuole dei bianchi.
Oltretutto nessuno di quei provvedimenti si definiva “razzista” ed anzi, ancora negli anni ’60 del secolo scorso, tanti americani rivendicavano la razionalità e persino la necessità di un sistema di segregazione definito di “separazione ma nell’uguaglianza”. Raramente un razzista ammette di esserlo.
Il rischio, anche nell’Italia di oggi, è quello del minimalismo interpretativo, e cioè dell’idea diffusa che siamo di fronte a qualche bravata frutto dell’esasperazione di vittime innocenti che subiscono l’invasione degli immigrati. Insomma un razzismo bonario, “preterintenzionale” e quindi non preoccupante. Una telefonata istituzionale alle vittime e tutto si rimette a posto.
Al contrario le chiese, quella cattolica come quelle evangeliche, esprimono una viva preoccupazione. E crediamo che bene abbia fatto Avvenire, il quotidiano cattolico, a titolare il 31 luglio “Vergogniamoci”. Una classe politica responsabile non aspetta che qualcuno bruci una sinagoga per lanciare l’allarme contro l’antisemitismo, ma agisce già quando negli stadi si sentono truci slogan contro gli ebrei. Allo stesso modo dovrebbe agire quando si offende o si picchia un rom o un nero.
Ma non pretendiamo dalla classe politica atteggiamenti più virtuosi dei nostri perché aveva ragione Martin Luther King – che di razzismo è morto – quando affermava che non lo spaventava “la violenza dei cattivi ma l’indifferenza dei buoni”.