La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). O dalle volontarie e dai volontari che accompagnano per periodi più o meno lunghi il percorso di MH. Oggi “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è stato scritto dalla volontaria del servizio civile Benedetta Fragomeni.
Roma (NEV), 14 settembre 2022 – La mia estate quest’anno è stata Lampedusa. Ho trascorso solamente il mese di agosto sull’isola a casa Mediterranean Hope (MH) ma anche il prima e il dopo, sono passati di là. A fine giugno inizio il mio servizio civile con MH, già consapevole del viaggio che mi aspettava di lì a poco. Nei primi giorni arriva subito l’esperienza dei Humanitarian Corridors e ricordo una collega dirmi “Ora i corridoi, vedrai poi il confronto con Lampedusa”. Potevo immaginare a cosa si riferisse ma la verità è che certe dinamiche, certe procedure, certe sensazioni, persino odori e suoni, da lontano non li puoi intuire.
E così luglio è stato tutto un pensare a come sarebbe stato e ho provato a prepararmi, assicurandomi di lasciare in me uno spazio libero dalle aspettative. Cercavo informazioni, foto, facevo più attenzione alle notizie che arrivavano da lì e iniziavo a sentirle mie. Una volta arrivata sull’isola però, la verità è che nessuna immagine pensata, notizia letta, pensiero elaborato, somigliavano alla realtà. E come tra le prime considerazioni mi sono chiesta, perché non la raccontano così com’è?
Sono arrivata in giornate tranquille, i pochi approdi al molo Favaloro mi hanno permesso un inizio soft, tra passeggiate, un po’ di mare e l’introduzione al progetto dell’Osservatorio sulle migrazioni di MH. Ricordo quando Gaia, l’operatrice, mi ha avvisata per la prima volta di un approdo “arrivano 50 persone tra mezz’ora”, mi ha guardato e ha sorriso. Ho sentito la mia faccia assumere un’espressione spaventata, evidentemente fuori dal mio controllo e visibile a tutti. È salita l’emozione, non sapevo cosa aspettarmi. Non ricordo chiaramente il mio primo approdo, vorrei ma altri momenti vissuti nel corso del mese hanno fatto irruzione nella mia memoria rubando il posto a questa prima volta. È certo che ero impacciata, cercavo il mio posto, un po’ come mi ero sentita durante i corridoi, osservavo, a tratti un po’ in disparte. L’importanza che percepivo di quel posto mi imponeva di entrare in punta di piedi.
Ricordo di aver pensato che era tutto più “normale” di come lo avevo immaginato e che la parola che si faceva spazio a mano a mano che la mia osservazione continuava era “contrasto”. Ho portato con me questa parola ogni giorno, e ogni giorno si faceva sempre più rappresentativa di quello che vedevo.
Il molo ti coinvolge in tutto. Gli odori, spesso spiacevoli, ti assalgono mentre ti avvicini alla zona dove avviene lo sbarco. Avanzando in questa piccola striscia di cemento passi i due bagni, poi le barche dei precedenti approdi, poi i secchioni, poi le taniche di benzina posate a terra, poi le autorità e i vari attori del molo che come te si stanno avvicinando.
Lo spazio è limitato e a poco a poco lo senti riempirsi attorno a te, ogni attore sceglie come occuparlo, al centro, troppo spesso solo fisicamente, le persone appena approdate.
I suoni sono forti, si sovrappongono urla, si mescolano lingue e l’orecchio cerca pace senza successo. Ricondurre ogni suono al proprio emittente è piuttosto semplice, le urla sono quasi sempre in italiano, le persone approdate spesso non hanno forza e intenzione di gridare.
Al tatto la plastica delle bottiglie e dei bicchieri che riempiamo a suon di “beddek l’maya?”, “pani?”, “voulez-vous un peu d’eau?”, nel tentativo di offrire l’acqua alle persone arrivate nella loro lingua madre. Sulle mani, quando arrivano bambini e bambine, la polvere dei gessetti con cui colorano il molo e l’acqua delle bolle di sapone che alleggeriscono l’aria.
Alla vista tante immagini. Come possono esserci immagini così disumane in uno spazio così denso di esseri umani come è il molo dopo un approdo? Osservando, nascono tante considerazioni ed emozioni contrastanti. Tra tutte, spesso la rabbia e l’indignazione nel vedere il risultato di quello su cui da lontano senti dibattere, fare propaganda politica.
Poche volte prima di questi momenti mi è capitato di vedere le conseguenze delle azioni. Poche volte ho avuto il contatto con l’effetto finale delle scelte prese.