Roma (NEV), 25 gennaio 2021 – di don Carmelo La Magra and Marta Bernardini –
“Da qualche anno a Lampedusa la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, con la parrocchia di San Gerlando,celebra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (SPUC) con una veglia ecumenica che si svolge proprio presso la parrocchia. Da quando Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI, è arrivata a Lampedusa nel 2014 l’amicizia e la collaborazione con la chiesa cattolica locale è sempre stata segnata da spontaneità, bellezza e fratellanza. Quest’anno però, come in altri luoghi, tale appuntamento non si è potuto svolgere a causa delle restrizioni da Covid-19. Un’altra importante occasione di incontro e unione spirituale che ci viene a mancare in un anno difficile. Le comunità di fede stanno soffrendo non poco per le limitazioni imposte dalla pandemia. Per definizione, una comunità si fonda sullo stare insieme, ma la crisi da Covid-19 ci pone davanti al rischio dell’isolamento, della solitudine e della disgregazione. In un luogo come Lampedusa, già isola di per sé, queste occasioni di testimonianza evangelica sono un dono di cui negli anni abbiamo potuto godere con gratitudine. In questo ultimo periodo ci siamo abituati e abituate alle solite facce, alle solite stanze, alle solite mura e spesso sensazioni di sconforto, disorientamento e preoccupazione hanno caratterizzato giornate lunghe e lente. Quante volte un senso di profonda noia e inutilità ci ha travolte? Quante volte la necessità e l’impossibilità di uscire, passeggiare, intrattenere relazioni più o meno profonde ci ha trasmesso frustrazione e pesantezza?
Il versetto scelto per la SPUC di quest’anno è stato “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (Gv 15, 5-9). Si trova all’interno del vangelo di Giovanni, capitolo 15, con Gesù che si rivolge ai suoi discepoli e sembra voler offrire le ultime parole, gli ultimi consigli prima di separarsi da loro. Quasi delle parole di commiato prima di una partenza importante. Questi versetti propongono l’immagine della vite e dei tralci, di cui un contadino si prende cura. Ecco davanti a noi questo albero, una vite, con le radici ben piantate e molti tralci, rami piccoli e grandi, alcuni pieni di vitalità altri invece secchi. Non c’è molto mistero sul fatto che Gesù sia la vite, solida, ben radicata, piena di linfa, che il contadino sia Dio e che i tralci siamo tutti e tutte noi. I rami possono essere secchi, sterili oppure ricchi di frutti.
Quante volte ultimamente ci siamo sentiti e sentite rami secchi, inutili, incapaci di esprimere vitalità e concentrarci su obiettivi fruttuosi? Quanto spesso abbiamo sostenuto il peso della sterilità, dell’aridità di emozioni, idee e relazioni? Ma qui l’immagine che ci si presenta è quella di una pianta viva, in grado di produrre in abbondanza! ‘Da soli non potete dare frutti fratelli e sorelle mie, se rimanete in me, se rimaniamo uniti però questi frutti nasceranno’ sembra dirci Gesù nel testo. Non è nascosto il fatto che i rami secchi ci sono, ma abbiamo davanti a noi la speranza, o meglio la certezza, che invece la linfa continua a scorrere anche nei rami più fragili, piccoli e periferici per dare addirittura frutti in abbondanza. Anzi, nella vite i primi germogli appaiono proprio nei tralci più lontani dal tronco. Non sappiamo di preciso come saranno i frutti che nasceranno, quanto grossi, succosi e dolci, non si parla neanche di frutti perfetti. Probabilmente questi frutti non saranno come ci immaginavamo, ma sappiamo che saranno molti, abbondanti, nati da rami diversi ma dalla stessa pianta e curati dallo stesso contadino.
Questa immagine è decisamente di ispirazione per pensare all’unità delle chiese cristiane in tutto il mondo. Rami diversi possono essere fruttuosi e abbondanti se restano uniti a Dio e alla stessa fonte di vita. Vita che riceviamo, vita che diffondiamo, vita che creiamo insieme nell’unità.
Eccola, un’immagine di vita che trabocca, di amore che si protende verso l’esterno anche nei luoghi più marginali, dalle radici, lungo il tronco, attraverso ogni ramo, tesi fino al cielo. Non più paura dell’immobilismo, della sterilità, dell’inutilità, ma vita, abbondanza e amore.
Questa è l’indicazione che vuole forse darci Gesù prima di salutarci. Rimaniamo insieme nell’amore di Dio, impariamo a essere rami di una stessa pianta capaci di dare frutti in abbondanza. Godiamo della bellezza di vedere qualcosa che cresce da noi, liberati e liberate dalla Parola e dall’amore di Dio, un contadino attento che sa come curare le sue piante, con vicinanza e allo stesso tempo dando spazio di crescita. In un ecosistema ben connesso tutti e tutte abbiamo il nostro ruolo, il nostro spazio, la nostra responsabilità gli uni verso le altre con le nostre diversità, sensibilità, provenienze, collocazioni geografiche, posizioni centrali o periferiche. Uniti e unite dall’amore di Dio, condividiamo l’impegno e la bellezza di dare frutti vivi in questo mondo e in questo tempo”.