Non è mai troppo tardi

foto di Stefano Stranges, la Casa delle culture di Scicli

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici, dalle volontarie e dai volontari, di Mediterranean Hope (MH), il programma sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Scicli ed è stato scritto da Silvia Casonato.

Roma (NEV), 7 gennaio 2025 – Avere più di sessant’anni, essere andata in pensione da pochi mesi e pensare di dedicare due mesi del proprio tempo al volontariato a mille chilometri da casa. Folle, ma anche no! Perchè l’idea non nasce lì per lì, ma è frutto di un’esperienza esistenziale particolarmente scioccante: un naufragio di oltre 300 persone nel tentativo di cercare salvezza ed una prospettiva di vita, avvenuto ad ottobre 2013 nel nostro Mediterraneo. Fu dal giorno in cui appresi quella terribile notizia che iniziai a seguire Mediterranean Hope, il programma rifugiati e migranti della FCEI sui Corridoi Umanitari e a decidere che, appena fosse stato possibile, vi avrei dedicato del tempo. Quel tempo era arrivato e presentai la mia candidatura. Quando dalla FCEI mi comunicarono che ero stata accettata come volontaria ero contenta e trepidante, certa che avrei vissuto un’esperienza umanamente unica. Ebbene, i miei due mesi di volontariato a Scicli alla Casa Delle Culture sono andati ben oltre, è stato un servizio di volontariato totalizzante, un coinvolgimento su vari livelli, esperienziale, umano, relazionale. Sono arrivata a Scicli il 3 ottobre 2024, nello stesso giorno è arrivato un Corridoio umanitario sotto l’egida di UNHCR. Il gruppo era composto da una trentina di persone, compresi 8 minori. I primi giorni sono stati frenetici, gestire i bisogni, le fragilità dei singoli richiede molta pazienza e dedizione ed in questo senso gli operatori della Casa delle Culture sono una squadra molto efficiente. Al loro fianco noi quattro volontarie all’inizio un po’ disorientate dalle tante cose da fare nel supportare gli operatori impegnati da subito a gestire gli aspetti sanitari e amministrativi che porteranno all’ottenimento del permesso di soggiorno. Ho vissuto giorno dopo giorno l’attesa, il disagio, il disorientamento dei rifugiati , catapultati in un luogo sicuro ma straniero e sconosciuto. Quindi ho capito che il nostro compito di volontarie era quello di rasserenarli, di accompagnarli, di farli sentire a proprio agio. Li abbiamo accompagnati in giro per la città, sostituendo la lezione di italiano con l’insegnamento sul campo di parole e luoghi, chiacchierando con loro, guardando su Google maps quanto erano lontani i loro luoghi di provenienza, ascoltando le loro storie per chi sentiva il bisogno di raccontarsi, bevendoci un caffè assieme. Abbiamo giocato a calcio con loro, abbiamo fatto assieme la pizza e abbiamo ballato e mangiato assieme. Da friulana ho cucinato per loro il “frico” che hanno mangiato con grande apprezzamento. Ho visto tanti sorrisi, ho ricevuto e dato tanti abbracci, e questo a fine di ogni giornata era il “salario” più prezioso che potessi ricevere. Ce l’abbiamo messa tutta per farli sentire accolti in un luogo protetto che li avrebbe accompagnati a conquistarsi il proprio futuro.

Ho insegnato l’italiano ai bambini rifugiati, senza alcuna esperienza ma con tanto amore e dedizione sono cresciuta con loro, osservando i loro sforzi e i loro piccoli progressi. I bambini erano molto interessati ed impegnati, e quando finalmente, completata la burocrazia, per loro è stato il momento di inserirsi nella scuola vera è stato emozionante per me vederli felici andare incontro al loro futuro.

No, non è mai troppo tardi per immergersi in relazioni e recuperare quel senso di umanità che sembra andato perduto in una società che non concede tempo e amore agli ultimi. Per me invece incontrarli è stato un dono perchè la loro spontaneità, la loro franchezza ed anche sì la loro allegria (perchè nonostante quello che si lasciavano alle spalle sul loro volto non mancava mai il sorriso) mi hanno contagiato, ma soprattutto si sono incarnate nei volti di Alì, Abubacar, Mohamed, Anya, Oumema,Hayat, Ihab e tanti altri. Ora hanno tutti un volto ed un nome per me non sono più dei numeri sterili che ci vengono comunicati quando accadono i tremendi naufragi. La mia esperienza, iniziata con l’arrivo mio e del corridoio umanitario, si è conclusa con la splendida notizia dell’ottenimento per tutti del permesso di soggiorno, Alleluia! Sono grata al Signore e a chi ha creduto in me per avermi dato questa straordinaria opportunità di servire e vivere accanto, seppur per un breve periodo, a questi fratelli e sorelle.

No, non è mai troppo tardi!

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