Un Ponte di Speranza: la visita presso la First Baptist Church di Ashland

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici, dalle volontarie e dai volontari, di Mediterranean Hope (MH), il programma sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Scicli – e un po’ dagli Stati Uniti – ed è stato scritto da Piero Tasca.

Roma, 27 novembre 2024 – Si è conclusa poco più di una settimana fa la nostra visita, mia in veste di operatore del progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, presso la chiesa della First Baptist Church di Ashland in Virginia (USA). La visita si è rivelata un’esperienza ricca di incontri significativi e collaborazioni promettenti e ha mostrato come una comunità locale possa fare la differenza nella vita dei rifugiati, intrecciando solidarietà, accoglienza e speranza.

Abbiamo potuto osservare da vicino le attività che la First Baptist Church di Ashland mette in campo per supportare i rifugiati presenti sul territorio. Il cuore di queste iniziative è una rete straordinaria di collaborazione, che coinvolge chiese di diverse confessioni religiose di Ashland e varie associazioni locali. Questa sinergia è sostenuta dall’impegno instancabile e continuo di molti volontari, la cui dedizione è il motore di progetti di grande impatto.

Tra le attività più importanti spiccano la distribuzione alimentare, la fornitura di abiti e le lezioni di inglese, strumenti fondamentali per aiutare i migranti a integrarsi e a vivere con dignità nella nuova realtà. L’inglese non è solo una lingua ma una porta aperta verso opportunità di lavoro, istruzione e autonomia.

Il viaggio ha incluso anche delle tappe ad Alexandria e a Richmond, dove abbiamo avuto modo di incontrare altre realtà che lavorano con i rifugiati, in particolare afghani fuggiti dal regime talebano e che hanno avuto modi di raggiungere gli Usa dopo il ritiro delle truppe statunitensi e il ritorno dei Talebani al potere nel loro paese. Il sostegno si concentra su due fronti principali: i bambini e gli adulti.

Per i più piccoli, la Nova Raft di Alexandria organizza attività pomeridiane che combinano supporto linguistico e momenti ludici, creando uno spazio sicuro e accogliente dove i giovani rifugiati possono imparare, giocare e crescere. A Richmond invece ho incontrato l’ ONG “ReEstablish Richmond” che segue principalmente adulti e nuclei familiari. Fin dall’inizio, questa realtà ha accompagnato i rifugiati nel loro percorso verso l’autosufficienza, affrontando i loro bisogni, gli obiettivi più pratici come l’ottenimento della patente di guida, un documento essenziale per accedere al mondo del lavoro e abbattendo le barriere che si frappongono al loro cammino.

Entrambe le realtà lavorano a stretto contatto con volontari e altri che supportano i nuovi arrivati, creando una solida rete di assistenza e comunità.

Tra i momenti salienti della visita, spicca anche l’incontro con Abubaker Abdelrahman delle Commonwealth Catholic Charities. La conversazione ha sottolineato la necessità di un approccio integrato e collaborativo tra il governo e le associazioni per rispondere ai bisogni complessi dei rifugiati, dall’assistenza legale al sostegno sociale.

Nell’ultima giornata negli Usa ho presentato alla Chiesa delle First Baptist Church di Ashland il progetto Mediterranean Hope, in tutte le sue componenti, mettendo in evidenze che molte attività da loro svolte hanno parecchie similitudini soprattutto con le attività che si organizzano all’interno della Casa delle Culture di Scicli. L’ incontro è stata l’occasione anche per presentare, al di la dell’ oceano, l’importantissima esperienza del progetto dei Corridoi Umanitari realizzato dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.

Questo viaggio ha messo in luce come l’unione di comunità di fede, associazioni e singoli individui possa trasformare vite. Non è solo questione di dare aiuto materiale ma di costruire relazioni autentiche che restituiscano dignità e speranza.

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