La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è stato scritto collettivamente dal team sull’isola, come report qualitativo delle attività di monitoraggio svolte nel 2022.
Roma (NEV), 14 febbraio 2023 –
Il paesaggio della frontiera
Lampedusa, non diversamente da altre frontiere, ha vissuto gli effetti della pandemia sulla mobilità e sull’accoglienza delle persone in transito. Fin da marzo 2020 le persone che raggiungono l’isola sono costrette a rimanere all’interno dell’hotspot dell’isola in attesa di essere trasferite. A marzo 2020 un’ordinanza comunale, promulgata poco dopo la dichiarazione dell’Italia in zona rossa, sigilla il buco nella recinzione che circonda l’hotspot, che fino ad allora restava l’unica uscita delle persone dal centro. Da quel momento in poi, le persone approdate non potranno più uscire e la sorveglianza nei dintorni del centro assumerà forme sempre più rigorose. Poco dopo, contemporaneamente alla dichiarazione per decreto dei porti italiani come “non sicuri”, compaiono all’orizzonte le sagome gigantesche di Titti e Silvestro stampate sull’enorme scafo della Moby Zazà, tra le prime nella flotta delle cosiddette “navi quarantena” che faranno da sfondo alle coste dell’isola per i due anni successivi.
Due anni dopo, il 31 marzo 2022, si dichiara concluso lo stato di emergenza, e due mesi dopo le navi quarantena scompaiono lentamente dal paesaggio della frontiera. Saranno sostituite poco dopo dalla nave della marina militare San Marco e da quelle della guardia costiera Diciotti e Gregoretti; chiamate a risolvere l’eterna emergenza di un hotspot sovraffollato. In mancanza di un sistema di trasferimenti rodato ed efficace, senza le navi quarantena che facevano la spola da una parte all’altra del Canale di Sicilia e senza poter uscire dal centro in cui sono detenute, le quasi 20 mila persone che approdano sull’isola durante i tre mesi estivi sono condannate a vivere giorni, se non addirittura settimane, in mezzo ai rifiuti, senza un tetto dove dormire o ripararsi dal sole, privi di uno spazio sicuro dove riposare, informarsi sui propri diritti e prendersi cura di sé o delle persone care. Il sovraffollamento dell’hotspot richiama l’immaginario militaresco e razzista dell’invasione, degli sbarchi continui. Un immaginario che era stato parzialmente accantonato durante i lunghi mesi della pandemia e che durante il periodo della campagna elettorale in vista delle elezioni politiche di settembre ha trovato un nuovo e rinvigorito slancio. Nonostante ciò, il cambio di governo nazionale non ha avuto conseguenze visibili nel breve periodo sul paesaggio di frontiera di Lampedusa. Le persone continuano ad arrivare dal mare, questa volta sempre più dalla Tunisia invece che dalla Libia. L’accoglienza loro riservata, come in passato, resta mancante di ciò che dovrebbe essere invece garantito: dignità e umanità.
Arrivi nel corso del 2022: la rotta libica e tunisina
Sulla rotta Libia-Lampedusa
Entrata nel 2022 dopo un tentato appuntamento elettorale, la Libia continua a essere un paese diviso, estremamente pericoloso per le persone straniere, che lavorano, vivono o sono in transito verso l’Europa. A differenza del 2021, le imbarcazioni che raggiungono Lampedusa sono meno affollate ma non per questo meno pericolose. Ipotermia e asfissia sono le cause della morte di 8 persone su due diverse imbarcazioni solo nel mese di gennaio. L’evento più grave coinvolge 7 persone, tutte provenienti dal Bangladesh, che muoiono di ipotermia prima di raggiungere Lampedusa nella notte tra il 24 e il 25 gennaio. Le prime 3 muoiono già a bordo dell’imbarcazione con sopra 280 persone, mentre altre 4 perdono la vita sulle motovedette della guardia costiera nel tratto di mare che le separa dal luogo del soccorso a Lampedusa.
Durante tutto il 2022 le nazionalità più rappresentate per quanto riguarda le persone che raggiungono l’isola dalla Libia, sono il Bangladesh, l’Egitto, la Siria, il Sudan e, verso la fine dell’anno, anche il Pakistan. Non è raro che approdino anche eritrei, somali, yemeniti o altre nazionalità dell’Africa settentrionale o subsahariana. La migrazione dalla Libia è principalmente maschile, anche se spesso accade che ci siano delle donne con bambini o bambine o interi nuclei familiari a bordo delle barche che riescono a raggiungere l’isola. Le partenze dalla Libia si concentrano soprattutto nei mesi con il mare più calmo, da maggio a ottobre. Tra febbraio e aprile, proprio a causa delle condizioni meteomarine particolarmente negative, si registrano pochissimi arrivi. Mentre una volta che il mare si calma, a partire quindi dalle prime settimane di maggio, sempre più barche riescono a raggiungere le coste lampedusane. Messo piede sulla banchina, le persone iniziano a raccontare. “Kalabush” è la parola che risuona spesso su più bocche provenienti da paesi diversissimi tra loro. Significa prigione e praticamente tutte le persone che hanno transitato dalla Libia la conoscono. Molti mostrano i segni sul corpo: ferite, cicatrici, buchi, arti mancanti, alcuni hanno ancora addosso i lividi o intere parti tumefatte a causa dei colpi ricevuti. Non è importante se il motivo della tua presenza in Libia è il lavoro, fuggire in Europa, la famiglia o altro. La Libia è pericolosa, “no good”, “mushkila”, dicono le persone appena approdate. Anche i libici scappano ovviamente. Per lo più usano imbarcazioni piccole e potenti. Per i libici, la decisione di imbarcarsi avviene contemporaneamente a pesanti scontri tra milizie rivali che hanno investito la capitale, Tripoli, ad agosto. A differenza delle altre barche partite dalla Libia, quelle con cui viaggiano le persone libiche vedono, in mezzo a valigie di diverse misure, famiglie con bambini/e anche molto piccoli/e. Spesso sia gli adulti che i/le minori presentano patologie fisiche o mentali, è evidente che tra le motivazioni per partire la necessità di cure mediche in Europa è centrale.
Fino alla fine di ottobre, gli arrivi dalla Libia rappresentano circa il 50% degli arrivi totali. Poi qualcosa cambia, forse aumentano le intercettazioni delle milizie libiche, diminuiscono le partenze o entrambe le cose, nei mesi finali del 2022 sempre meno barche provenienti dalla Libia approdano sull’isola.
La rotta tunisina
Anche la Tunisia vive da tempo un periodo di forte crisi economica, politica e sociale. Alle elezioni del 17 dicembre 2022 – stesso giorno della rivoluzione del 2011 – l’affluenza non supera il 9% e al secondo turno raggiunge l’11% delle persone votanti. Questa complessa situazione determina una delle ragioni del forte esodo di cittadini e cittadine tunisini/e che cercano di attraversare il canale di Sicilia. La maggior parte ha come meta Lampedusa ma molti raggiungono le coste italiane a Pantelleria o approdano direttamente nel trapanese. Nei mesi estivi, i meno pericolosi per intraprendere la traversata, circa 10 mila persone raggiungono Lampedusa dalle coste tunisine. Sono soprattutto tunisini, spesso uomini ma anche moltissime donne. Rispetto all’anno precedente aumenta la presenza di famiglie che tentano la traversata. La composizione di chi si imbarca è quindi molto eterogenea: bambini e bambine, famiglie, minori non accompagnati, anziani e giovani. Per tantissime persone è la prima volta che si supera la frontiera, altre invece conoscono bene l’Italia, alcune ci sono addirittura cresciute fin da piccole. Senza un visto, l’unica alternativa possibile alla mancanza di prospettive in Tunisia è il mare. La sola speranza per ottenere un visto e viaggiare in aereo, raccontano le persone arrivate a Lampedusa, risiede nell’avere in tasca un contratto di lavoro in Europa mentre si è ancora in Tunisia. Una speranza irrealizzabile e costosa – la domanda di visto all’ambasciata non è gratuita -, se non per tutti gli emigranti, sicuramente per coloro obbligati a imbarcarsi per raggiungere l’Europa irregolarmente. Una volta giunti a Lampedusa, per molti, specialmente se uomini e se le loro impronte risultano già presenti in qualche archivio della polizia italiana, la paura maggiore è quella del rimpatrio. Tra il 9 giugno e il 9 agosto, l’Osservatorio di Lampedusa ha monitorato la partenza di 16 aerei charter e 2 trasferimenti via nave per un totale di 258 persone straniere giunte a Lampedusa e dirette verso i Centri di Permanenza e Rimpatrio – CPR – in tutta Italia. Nella maggior parte dei casi si tratta di cittadini tunisini, ed è altamente probabile che ci siano stati molti più trasferimenti verso CPR in Sicilia e nella penisola.
Dalle coste tra la penisola di Kelibia e la città di confine Zarzis non partono solo cittadini e cittadine tunisine,ma anche tantissime persone straniere che si trovano in Tunisia per un periodo più o meno lungo. La maggior parte di loro provengono da altri paesi africani, specialmente dell’Africa Occidentale. Sono uomini e donne, bambini e bambine della Costa d’Avorio, della Guinea Conakry, del Camerun, del Mali, del Burkina Faso, della Sierra Leone, della Liberia, del Togo, del Ghana, del Gambia e del Senegal. I paesi di provenienza e la rotta migratoria che seguono li contraddistingue come un flusso migratorio separato rispetto agli altri. Dall’Africa occidentale si muovono spesso a piedi attraverso il Deserto del Sahara, poi c’è chi prosegue verso il Marocco e chi verso la Tunisia attraverso l’Algeria. Non è raro che a questo punto molte persone provino ad andare in Libia nel tentativo di imbarcarsi per poi rendersi conto della situazione di violenza e razzismo, in particolare per le persone nere, e rifugiarsi nuovamente in Tunisia. Questo è quello che raccontano le persone al loro arrivo a Lampedusa. Anche in Tunisia esisterebbe, a detta delle persone incontrate al Molo Favaloro, una forte discriminazione verso i/le migranti che provengono dagli stati subsahariani. Le discriminazioni che vivono in quanto soggetti razzializzati sarebbero evidenti ad esempio nei lavori in cui sono impiegati – in particolare le donne impiegate nei lavori di cura -, nelle violenze della polizia o della popolazione locale, nelle molestie dei datori di lavoro. Nonostante nel corso dell’anno a Lampedusa siano sempre approdate delle barche con a bordo gruppi di persone che caratterizzano questo flusso, da ottobre 2022 in avanti queste rappresentano la maggioranza assoluta degli arrivi sull’isola. Queste barche partono quasi tutte da Sfax, città costiera distante 100 miglia nautiche da Lampedusa, e trasportano tra le 20 e le 50 persone, anche se ci sono stati alcuni casi con oltre 100. Tra i vari flussi migratori che interessano l’isola, questo è l’unico che ha una composizione di uomini e donne praticamente pari. Sono tantissimi i nuclei familiari, molti anche monoparentali, che si mettono in viaggio con bambini e bambine molto piccoli/e, alcuni/e addirittura neonati/e; e moltissime sono le donne in stato di gravidanza che decidono di partire verso Lampedusa. Un’altra caratteristica che ha identificato questo flusso negli ultimi mesi del 2022 è la tipologia di barche utilizzate. Si tratta di barche in ferro di lamiera saldate tra loro e costruite apposta per la traversata. Ciò le rende particolarmente pericolose, non è raro infatti che le barche si rovescino durante i soccorsi o durante la traversata, o che le imbarcazioni si riempiano d’acqua a causa delle saldature precarie. A partire dalla fine di ottobre e per tutto il periodo seguente si sono susseguiti morti e dispersi in almeno 9 naufragi. In poco più di due mesi, a poca distanza da Lampedusa sono morte almeno 50 persone, tra cui moltissimi bambini. La più piccola di cui si ha notizia aveva solo due settimane. 17 sono i corpi recuperati sulle barche o in mare, mentre 33 i dispersi stimati in base alle informazioni raccolte. Per comprendere a pieno quanto accaduto, basti dire che in soli due mesi a Lampedusa ci sono stati più morti che nei due anni precedenti.
Le zone costiere di Sfax sono divenute nel corso dell’anno il principale porto d’imbarco per le persone straniere in transito dalla Tunisia verso Lampedusa. Negli ultimi mesi del 2022 hanno iniziato a imbarcarsi da Sfax anche persone provenienti da paesi che in precedenza partivano dalle coste della Libia occidentale. Si tratta soprattutto di uomini, spesso giovani, del Bangladesh, della Siria, dell’Algeria, del Marocco, dello Yemen, del Pakistan o dell’Egitto che dalla Libia passano le frontiere via terra verso la Tunisia e poi attraversano il mare in direzione Lampedusa.
Prospettive di sviluppo dei flussi migratori
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio delle migrazioni di Lampedusa, gli approdi complessivi sull’isola nel 2022 sarebbero oltre 41 mila. Secondo altre fonti istituzionali supererebbero le 45 mila. Questo significa che quasi la metà del totale delle persone che sono entrate in Italia via mare nel 2022 hanno transitato dall’hotspot di Lampedusa, il che rende nuovamente l’isola il maggior porto d’approdo in Italia. Rispetto all’anno scorso, in cui gli approdi erano stati circa 32 mila, c’è stato un incremento delle partenze sia dalla Libia che dalla Tunisia. Per quanto evidente sia l’aumento delle persone che si mettono in viaggio e che raggiungono le nostre coste, il flusso migratorio nel Mediterraneo centrale è pressoché equiparabile a quello dell’anno precedente. Le novità maggiori riguardano semmai la rotta tunisina, la mobilità esistente tra Libia e Tunisia e la conferma di Sfax come principale zona di partenza per le persone in transito verso l’Europa. Non è da escludere, visti gli avvenimenti degli ultimi mesi, un aumento della mobilità interna dalla Libia alla Tunisia e l’utilizzo sempre più frequente della Tunisia invece che della Libia come porto di partenza per Lampedusa.
L’evoluzione delle rotte migratorie nel Mediterraneo coinvolge maggiormente le zone più orientali, a partire della regione libica della Cirenaica da cui numerosi pescherecci con centinaia di persone hanno iniziato a salpare nei primi mesi autunnali verso la Sicilia orientale. Altre rotte migratorie si sono consolidate, come quella che unisce le coste turche nei dintorni di Izmir con l’Italia meridionale; in particolare Roccella Ionica, ma anche il Salento e altre zone della Calabria, e che vede protagoniste principalmente persone dell’Afghanistan. Una novità assoluta riguarda invece le partenze di imbarcazioni direttamente dalla città di Tripoli – Libano -, con a bordo centinaia di persone provenienti da Siria e Libano. In entrambi i casi, sia che si parta dal Libano sia che si parta dalla Turchia, il viaggio può durare oltre una settimana e sono purtroppo già numerosi i casi di naufragi avvenuti nelle vicinanze della costa libanese, siriana, turca e greca.
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