Roma (NEV), 31 gennaio 2022 – In un edificio su due piani fuori dal centro Bihac, a 4 chilometri dal centro della cittadina vicina al confine tra Bosnia e Croazia, da oggi c’è un nuovo sportello sociale, un piccolo centro diurno nato dalla collaborazione tra Mediterranean Hope, programma migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, e ComPass071 Sarajevo, un’associazione locale che si occupa di supporto ai migranti in transito nel Paese.
La struttura comprende uno spazio per bere un caffè o un tè e ricaricare il cellulare, una lavanderia dove i migranti avranno modo di lavare e asciugare i propri abiti, uno spazio dove potranno ricevere degli indumenti, se ne hanno bisogno – vestiti usati, donati principalmente da chiese e altre realtà solidali.
“Da oggi le 3 stanze adibite a docce sono operative – racconta Niccolò Parigini, responsabile del progetto MH in Bosnia – e abbiamo già ricevuto le prime due persone, due ragazzi di origine pakistana, che ci hanno raccontato di essere qui uno da quattro e uno da dieci mesi, e di aver provato “il game”, cioè ad attraversare il confine, già quindici volte.
Questo tipo di intervento, in linea con la modalità di lavoro di MH, è nato dal basso, dopo che negli scorsi mesi, abbiamo constatato le necessità di tante persone, che vivono fuori dai campi informali e formali della zona. Ci auguriamo di poter supportare queste persone e allo stesso tempo la popolazione locale”. Alle famiglie più vulnerabili di Bihac, infatti, è destinata tutta una serie di iniziative, come la distribuzione di cibo e altri prodotti. “Crediamo sia importante coinvolgere chi vive in questo territorio e dare una mano a chi in questa zona ha delle difficoltà, sia che siano persone migranti, che attraversano questi luoghi e sono o sperano di essere solo “di passaggio”, che non”, aggiunge Parigini.
Mediterranean Hope è presente in Bosnia da circa un anno, lo sportello di Bihac può contare su uno staff di cinque persone, tra operatori locali e referenti Mh, e alcuni volontari.
“E’ un piccolo aiuto su quella che resta una tratta pericolosissima per le persone in fuga, la rotta balcanica – dichiara Marta Bernardini, coordinatrice del programma migranti e rifugiati della FCEI – . Il nostro è un intervento immediato e diretto, come già facciamo anche a Lampedusa, a Scicli, a Rosarno, cerchiamo cioè di dare una risposta concreta ai bisogni primari delle persone. Avere i vestiti puliti, potersi fare una doccia calda, ricaricare la batteria del telefono. Queste sono solo alcune delle necessità più impellenti di chi rischia la vita per arrivare in Europa. Continuiamo a ribadire che servono passaggi sicuri, come i corridoi umanitari che realizziamo dal Libano, dalla Libia e speriamo al più presto per la popolazione afghana, affinché nessuno e nessuna sia più costretto e costretta a rischiare la propria vita nel Mediterraneo o nel gelo dei boschi in Bosnia, lungo quello che chiamano “game” e che rappresenta invece, per noi, il fallimento delle politiche securitarie e della mancata accoglienza dell’Europa”.