editoriale di Paolo Naso*, pubblicato da Avvenire (pag.16, 3 ottobre 2020) –
Il 3 ottobre del 2013, a poche miglia dalla costa dell’Isola di Lampedusa, un barcone carico di immigrati provenienti dal Corno d’Africa si incendiò. Un incidente tra i più tragici nella storia delle migrazioni mediterranee, enfatizzato dalle immagini di bare allineate nell’hangar dell’aeroporto e dalle lacrime di 141 sopravvissuti, tutti giovanissimi se non addirittura minori, che avevano visto il loro sogno trasformarsi in tragedia proprio quando l’Italia e la salvezza sembravano a portata di mano.
Come altre volte è accaduto, quelle immagini lasciarono il segno e, in un clima ancor sociale ancora preservato dalla propaganda sovranista e dalla furia distruttiva del diritto costituzionale all’asilo e alle leggi morali della del soccorsi in mare, il governo decise di istituire il 3 ottobre come Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione.
Una data non basta a cambiare la coscienza. La giornata della memoria della Shoah non ha estirpato la malapianta dell’antisemitismo così come la legge del 2017 che istituiva la Giornata del ricordo delle vittime di mafia non ha debellato la criminalità organizzata.
Il senso di queste giornate che se non altro hanno il merito di produrre una riflessione pubblica su temi decisivi della convivenza civile è infatti messo a dura prova da due fattori distorsivi: la ripetitività e la retorica. Una giornata che si ripropone sempre uguale perde la sua efficacia interpretativa, come una “festa comandata” che col tempo perde la sua capacità di provocare domande, emozioni, reazioni. L’altro fattore è quello della retorica che fa memoria dei morti di ieri ma dimentica i vivi di oggi. Ed è quanto rischia di accadere il 3 ottobre di quest’anno.
A guardare le norme e i fatti, da allora nulla è cambiato sostanzialmente: le pressioni di espulsione migratoria da alcune zone dell’Africa e del Medio Oriente restano identiche, così come la mancanza di vie legali che garantiscano la protezione ai richiedenti asilo o a quei migranti che definiamo “economici” ma che scappano disperati da zone di povertà e di conflitto che mettono a repentaglio a loro vita nella stessa misura di un conflitto di una era civile o di una dittatura sanguinaria. L’unico vero cambiamento da allora è stata l’apertura di “corridoi umanitari” che – vale la pena ricordarlo – furono ideati e avviati proprio a seguito dell’incidente del 3 ottobre. I protagonisti di quell’esperimento – la Federazione delle chiese evangeliche, la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese, sono ancora impegnati in quel progetto che hanno cercato di proporre anche in sede europea. Obiettivo ambizioso ma con qualche riscontro da parte della Commissione europea che ora riconosce che per contrastare efficacemente l’immigrazione irregolare occorre aprire canali regolari e sicuri sia per i richiedenti asilo che per gli immigrati economici”. Tuttavia, i corridoi umanitari restano una “buona pratica”, un bell’esperimento e non sono ancora “policy” riconosciuta e affermata da norme europee.
Nella giornata che si celebrerà il 3 ottobre il rischio di una retorica parata di buoni sentimenti è dietro l’angolo se alle dichiarazioni e ai gesti simili non si accompagneranno fatti concreti. Ad esempio l’approvazione dei nuovi decreti sostitutivi di quello intestati all’ex vicepremier Matteo Salvini. Avevano promesso “sicurezza” ma in realtà hanno prodotto l’effetto contrario, precarizzando e rigettando nell’irregolarità migliaia di migranti e distruggendo un sistema di interazione che, oltre che accogliere, favoriva l’inclusione sociale dei migranti. Quei decreti hanno anche aumentato l’insicurezza dei migranti che hanno perso la scialuppa di salvataggio delle azioni di ricerca e soccorso delle ONG. Di fronte al tema delle migrazioni la sicurezza è indivisibile, è per tutti – italiani e immigrati – o non è.
L’approvazione dei nuovi decreti di “superamento” delle norme Salvini sarebbe stato un segnale forte, tutt’altro che retorico, che avrebbe restituito al 3 ottobre il senso di una commemorazione utile al presente e non solo al passato. Un’occasione persa ma anche uno stimolo a pensare a una tragedia di 7 anni fa che, con numeri anche maggiori si è ripetuta altre volte e che, stando così le cose, potrebbe ripetersi domani.
*coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI