Cosa significa essere di Idlib, Siria

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Scicli ed è stato scritto da Ivana De Stasi

Roma (NEV), 28 febbraio 2020 – Vivere l’accoglienza in prima persona comporta conoscere la storia con i propri occhi e le proprie emozioni. Dal 2017 a Casa delle Culture lavoriamo con profughi siriani partiti da Beirut con un volo aereo e un visto regolare grazie ai Corridoi Umanitari della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. In questi anni abbiamo accolto 50 persone provenienti da diverse parti della Siria: Damasco, Aleppo, Idlib, Hama, Homs, Manbij, Raqqa. Le diverse provenienze ci permettono di conoscere la geografia della guerra, ogni zona ha vissuto il conflitto in maniera diversa: la capitale è stata colpita all’inizio della guerra in alcuni quartieri, Homs e Hama sono state assediate dall’esercito governativo, Aleppo ha vissuto una lunga e violenta battaglia dal 2012 al 2016. Discorso diverso per Idlib, capoluogo dell’omonimo governatorato, zona nel nord ovest della Siria verso il confine con la Turchia. Fin dagli inizi della guerra la popolazione ha subito le logiche politiche dei diversi schieramenti e ancora oggi, dopo 8 anni di guerra, la popolazione non trova pace. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi quotidianamente, infatti alla Casa delle Culture abbiamo conosciuto persone provenienti da Idlib. Ghussoun è arrivata con i suoi 5 figli più di un anno fa. All’inizio della guerra la loro casa tra gli alberi di ulivo viene distrutta, si spostano ai confini con la Turchia ma oltrepassare la frontiera è impossibile. Rimangono per un lungo periodo accampati con altri profughi per poi decidere di tornare ad Idlib. Qui la situazione peggiora sempre più, i due figli più piccoli sono malati gravemente e in periodo di guerra le cure non sono accessibili. Ghussoun non può vedere i suoi figli morire quindi decide che il Libano dovrà essere la prossima tappa verso la sopravvivenza. Il marito Mohammad non è con loro, da molto tempo lavora negli Emirati Arabi e da quando l’esercito l’ha richiamato alle armi per partecipare alla guerra non ha più fatto ritorno in Siria e segue da lontano gli spostamenti della famiglia.

Il tragitto per passare il confine tra Siria e Libano è lungo e complicato, come lo è anche la vita nel paese dei cedri. La sanità per chi è illegale e non ha soldi non è un diritto quindi i due figli di Ghussoun non possono effettuare le trasfusioni per tenere sotto controllo la talassemia. A causa della situazione sanitaria grave e urgente una dottoressa di un’organizzazione libanese riesce a mettere in contatto la mamma con i nostri colleghi in Libano. Dopo alcuni mesi i cinque figli e Ghussoun arrivano a Scicli.

Per i bambini la nuova vita in Sicilia è iniziata da subito con facilità: a scuola docenti e compagni hanno accolto tutti con piacere e l’italiano è arrivato presto, le cure sanitarie vengono svolte regolarmente presso il Centro Trasfusionale dell’Ospedale di Ragusa. Per Ghussoun è stato più difficile abituarsi alle piccole libertà e responsabilità come accompagnare i figli a scuola, fare la spesa da sola, l’enorme sforzo per imparare la nostra lingua partendo da una situazione di semi analfabetismo nella lingua madre. Mohammad ha raggiunto la famiglia successivamente. Al suo arrivo la nostra preoccupazione si basava sui pregiudizi riguardo le restrizioni che “l’uomo” di casa avrebbe imposto ai figli e alla moglie: niente più feste di compleanno, niente più uscite per le donne. In realtà Mohammad si è meritato l’appellativo de “lo svedese di Idlib” per aver mostrato fin troppa apertura mentale.

In questo periodo gira in rete l’hashtag #Idlib per seguire lo sviluppo della situazione nel governatorato siriano. Le battaglie non si fermano, la guerra continua, mezzo milione di bambini profughi che con le loro famiglie si spostano in continuazione per cercare rifugio.

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