Open Arms, diario di bordo di Davide Orcese, medico e volontario MH

Mediterraneo (NEV), 31 gennaio 2020 – “Mattinata normale, se non fosse che Malta ha rifiutato l’evacuazione del ragazzo con l’ustione. Appena dopo pranzo ci viene segnalata un’imbarcazione: caliamo in acqua i gommoni (operazione sempre più lunga, perché prima bisogna spostare le persone, che ormai sono ovunque) e le squadre di ricerca e soccorso partono, coordinate come sempre dal ponte della nave. Ricerca lunga e difficile, anche dalla nave proviamo a vedere coi binocoli se avvistiamo l’obiettivo. Nel pomeriggio inoltrato, mentre stiamo distribuendo il cibo, due persone a distanza di 5 minuti stanno male. Laura, l’infermiera, ed io ci stacchiamo dalla distribuzione del cibo e cominciamo a valutare i pazienti. La piccola stanza della manutenzione, dove possiamo mettere anche le persone che necessitano di trattamenti medici, è piuttosto piccola: con due persone contemporaneamente dentro facciamo fatica a muoverci. Mentre ci occupiamo dei primi due, altre tre persone stanno male, per fortuna in maniera più lieve. La nostra conclusione è che uno dei due uomini che è stato male necessita di un ospedale, quindi abbiamo le pratiche di evacuazione proprio nel momento in cui i gommoni avvistano la barca che stavamo cercando. Altre 83 persone vengono soccorse, cerchiamo di fare più spazio possibile (ormai siamo a 365, un numero davvero impressionante, la nostra barca li contiene a malapena). Appena terminate le operazioni di soccorso, ecco che arriva la motovedetta della Guardia Costiera: per fortuna entrambe le persone che ne avevano bisogno alla fine vengono evacuate e potranno ricevere cure adeguate. Giornata finita, possiamo tirare il fiato fino a domattina. Poi si ricomincia!”

31 gennaio, ore 19:

“Oggi primo giorno dall’inizio della settimana senza soccorsi, sembra strano, ormai era diventata una consuetudine. Non per questo il lavoro manca: preparare e servire pasti per 363 persone, su una nave, è un’impresa titanica: fin dal mattino c’è sempre qualcuno dell’equipaggio che segue la preparazione del cibo. Per quanto riguarda la distribuzione, invece, è un’operazione che richiede parecchie persone: almeno 3 che servono le porzioni, una che chiama a poco a poco le persone per evitare l’affollamento, una che si occupa di sostituire le pentole vuote con quelle piene. Ci mettiamo 2-3 ore ogni volta. Ieri, tra le altre mille cose che sono successe, è anche stato male Frank (per fortuna ora sta già meglio), un ragazzo sudanese che, da quando è arrivato, è diventato il nostro traduttore ufficiale inglese-arabo. Mi ha raccontato che in Sudan ha fatto l’università, è graphic designer, poi ha dovuto lasciare il suo Paese. Ha lavorato in Turchia per più di un anno (imparando anche un po’ di turco), poi è andato in Libia, dove ha vissuto per due anni e mezzo, fino al giorno in cui è finalmente riuscito a partire. Da subito è stato prezioso, ci aiuta a tradurre dall’inglese all’arabo, lingua che la maggior parte delle persone a bordo capisce, si arrangia anche con qualche parola di francese ed è sempre disponibile a dare una mano, come del resto molte delle persone qui”.

Sabato 1 febbraio, ore 17:
Oggi giornata di attesa; è piuttosto frustrante, l’unica cosa che possiamo fare adesso è sbarcare in un porto, eppure nessuna autorità se ne preoccupa. La situazione a bordo comincia a farsi un po’ più tesa, ci sono stati alcuni litigi, le persone sono più nervose e non capiscono il senso di questa attesa. Continuano a chiederci quando sbarcheremo, ogni volta cerchiamo di spiegare la situazione, ma non è facile spiegare una cosa così illogica a qualcuno che magari non conosce la situazione politica in Europa negli ultimi anni. Ogni giorno c’è qualche persona che non si sente bene, da visitare e curare; molti soffrono il mare, faticano a dormire, hanno freddo. A complicare il tutto, abbiamo ancora cibo sufficiente per due giorni, una preoccupazione che si aggiunge alle altre. Noi ci impegniamo al massimo per mantenere la situazione il tranquilla possibile. E aspettiamo.

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