Il bulgur a Scicli non si trova

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Scicli (Ragusa) ed è stato scritto da Ivana De Stasi.

Scicli (NEV), 4 settembre 2019 – Per più di un anno abbiamo lavorato con la famiglia Al Rachid. Mariam, Fatima, Mohannad e Wissam sono arrivati a Scicli nel 2018, tramite il progetto dei Humanitarian Corridors promosso dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio.

Sono arrivati con la paura e il timore di dover affrontare un paese culturalmente troppo distante dal loro modo di vivere e con la preoccupazione dell’imposizione culturale. Da parte nostra forse, per quanto proviamo sempre a spogliarci dai pregiudizi, noi operatori li abbiamo accolti con l’idea secondo la quale una famiglia, per giunta senza un uomo “al comando”, proveniente da una zona povera della Siria, bombardata senza sosta, non possa raggiungere la piena integrazione nella società europea. Dopo poco tempo dal loro arrivo, timidamente, i primi passi verso la costruzione di un rapporto di fiducia da entrambe le parti. Mariam “scopre” che chiacchierare con gli uomini non è poi così disonorevole, li si può salutare con una stretta di mano. Lei ci insegna che la dolcezza e il candore non scompaiono nonostante l’orrore vissuto.

Fatima frequenta la scuola per la prima volta nella sua vita e impara l’italiano in fretta diventando accompagnatrice turistica per l’associazione Tanit Scicli. Lei ci fa toccare con mano quanto il contesto sociale e culturale condizionino la vita di ognuno di noi.

Mohannad pian piano inizia a sentirsi sicuro la notte; noi apprendiamo quanto potente sia la resilienza di un bambino.

Wissam matura in fretta e a 5 anni si erige a protettore della sua famiglia e degli altri bambini più piccoli: ci insegna che l’età anagrafica è solo una cifra.

Domani la famiglia partirà per trasferirsi in un’altra città, dove verrà accolta dagli operatori della Comunità di Sant’Egidio e finalmente potranno realizzare il sogno che li ha portati in Italia: operare Mohannad e Wissam nella speranza della guarigione. Lunedì, durante la cena d’addio nel salone di Casa delle Culture abbiamo mangiato, cantato, riso e pianto.

In quest’anno e poco più trascorso insieme abbiamo imparato tanto da questa famiglia proveniente da una regione della Siria che non trova pace da troppi anni ormai. Tutti noi di Casa delle Culture ringraziamo Mariam, Fatima, Mohannad e Wissam perché ci hanno dato l’opportunità di crescere professionalmente e umanamente insegnandoci, tra le tante cose, che:

Fatima parla tanto e non ha un pulsante di spegnimento.

Il tabbouleh va cucinato con il dovuto rispetto.

Il bulgur a Scicli non si trova.

Il the bollente va bevuto anche ad agosto, rigorosamente seduti sul tappeto.

“Mushkila khabira” (grande problema) sono le prime e necessarie parole da imparare in arabo.

Fare la spesa al supermercato per alcune donne è un’ovvia banalità ma per altre è la conquista di un diritto alla libertà.

Il velo non è un ostacolo all’emancipazione.

La guerra semina dolore ma in alcuni casi porta alla rinascita. Se la famiglia Al Rachid fosse partita con un barcone e non in sicurezza con i Corridoi Umanitari probabilmente sarebbe rimasta sui fondali del Mar Mediterraneo e tutti noi non avremmo avuto la possibilità di conoscere tutto questo.

X