Pubblichiamo la nota di Paolo Naso, andata in onda durante la trasmissione “Culto evangelico” – rubrica “Essere chiesa insieme”, in onda su Radio RAI 1, domenica 3 marzo 2019
Roma (NEV), 4 marzo 2019 – Il muro di separazione tra gli Stati Uniti e il Messico così fortemente voluto dal presidente Trump per impedire l’immigrazione dall’America centrale e meridionale, in parte esiste già. Non è esattamente un muro ma piuttosto una lama di ferro che non segna soltanto il confine tra due stati ma tra due mondi: il Nord delle economie avanzate e il sud della povertà ormai globalizzata.
Sin qui il muro non ha fermato i migranti spinti, oltre che dalla miseria dei loro paesi di appartenenza, anche dalla violenza di regimi persecutori, fortemente condizionati dal potere senza limiti dei cartelli criminali che gestiscono i grandi traffici di droga.
Diversamente da quello che accade in Italia, per arrivare a chiedere asilo, i migranti non devono attraversare il mare ma il deserto: decine di chilometri di corsa, guidate da trafficanti senza scrupoli che, non a caso, vengono chiamati coyote, uomini che per un singolo passaggio chiedono più di 5.000 dollari. Si corre per minimizzare i rischi di essere intercettati, senza bagagli e senza acqua lungo un percorso ovunque uguale a se stesso nel quale è facilissimo perdersi.
In questa zona operano, tra gli altri, gruppi di volontari delle chiese protestanti americane, uno dei quali, a sud di Tucson in Arizona, ha scelto il nome biblico di Samaritani. Con i loro mezzi pattugliano i sentieri, creano delle stazione d’acqua dove i migrati possono bere, segnalano alle autorità casi di decessi, raccolgono persone ferite o impossibilitate a proseguire il cammino.
Altre chiese si sono dichiarate “santuario” e, consapevoli di svolgere un atto illegale, accolgono migranti in condizioni di estrema vulnerabilità nei loro templi che, secondo le leggi americane, salvo reati gravi non possono essere violate dalle autorità di polizia.
Mentre il presidente Trump ritiene il muro una priorità nazionale per la sicurezza degli USA, sono molte le voci contrarie: quella delle chiese protestanti è forse la più organizzata e consistente. Alcuni teologi parlano del muro come di un nuovo vitello d’oro, un dio idolatrico al quale l’America si inchina nel nome di una presunta sicurezza; altri denunciano l’immoralità di una spesa che potrebbe essere indirizzata per progetti di sviluppo nei paesi latinoamericani. Altri ancora ricordano come l’America un tempo fosse nota proprio per la sua capacità di dare protezione a chi era perseguitato, un valore che nel tempo si sarebbe perso. Alcuni pastori sono stati incriminati per favoreggiamento dell’immigrazione illegale solo per avere promosso azioni di solidarietà nei confronti dei migranti.
Intanto, alcune chiese lavorano sulle città di frontiera dove si concentrano i richiedenti asilo: quelli che cercano di passare il confine e quelli che, avendolo passato, sono stati respinti o – come recita il crudo linguaggio giudiziario degli USA – “deportati”. Portano cibo, acqua, coperte.
Altre ancora si recano sul versante USA del muro e, attraverso di esso, comunicano e fraternizzano con chi sta dall’altra parte. Talora pregano insieme. E condividono la Cena del Signore, il vino e il pane che Gesù condivise con i suoi discepoli. Una Comunione attraverso il confine. Anche questo è Essere chiesa insieme.
Roma (NEV), 4 marzo 2019 – Il muro di separazione tra gli Stati Uniti e il Messico così fortemente voluto dal presidente Trump per impedire l’immigrazione dall’America centrale e meridionale, in parte esiste già. Non è esattamente un muro ma piuttosto una lama di ferro che non segna soltanto il confine tra due stati ma tra due mondi: il Nord delle economie avanzate e il sud della povertà ormai globalizzata.
Sin qui il muro non ha fermato i migranti spinti, oltre che dalla miseria dei loro paesi di appartenenza, anche dalla violenza di regimi persecutori, fortemente condizionati dal potere senza limiti dei cartelli criminali che gestiscono i grandi traffici di droga.
Diversamente da quello che accade in Italia, per arrivare a chiedere asilo, i migranti non devono attraversare il mare ma il deserto: decine di chilometri di corsa, guidate da trafficanti senza scrupoli che, non a caso, vengono chiamati coyote, uomini che per un singolo passaggio chiedono più di 5.000 dollari. Si corre per minimizzare i rischi di essere intercettati, senza bagagli e senza acqua lungo un percorso ovunque uguale a se stesso nel quale è facilissimo perdersi.
In questa zona operano, tra gli altri, gruppi di volontari delle chiese protestanti americane, uno dei quali, a sud di Tucson in Arizona, ha scelto il nome biblico di Samaritani. Con i loro mezzi pattugliano i sentieri, creano delle stazione d’acqua dove i migrati possono bere, segnalano alle autorità casi di decessi, raccolgono persone ferite o impossibilitate a proseguire il cammino.
Altre chiese si sono dichiarate “santuario” e, consapevoli di svolgere un atto illegale, accolgono migranti in condizioni di estrema vulnerabilità nei loro templi che, secondo le leggi americane, salvo reati gravi non possono essere violate dalle autorità di polizia.
Mentre il presidente Trump ritiene il muro una priorità nazionale per la sicurezza degli USA, sono molte le voci contrarie: quella delle chiese protestanti è forse la più organizzata e consistente. Alcuni teologi parlano del muro come di un nuovo vitello d’oro, un dio idolatrico al quale l’America si inchina nel nome di una presunta sicurezza; altri denunciano l’immoralità di una spesa che potrebbe essere indirizzata per progetti di sviluppo nei paesi latinoamericani. Altri ancora ricordano come l’America un tempo fosse nota proprio per la sua capacità di dare protezione a chi era perseguitato, un valore che nel tempo si sarebbe perso. Alcuni pastori sono stati incriminati per favoreggiamento dell’immigrazione illegale solo per avere promosso azioni di solidarietà nei confronti dei migranti.
Intanto, alcune chiese lavorano sulle città di frontiera dove si concentrano i richiedenti asilo: quelli che cercano di passare il confine e quelli che, avendolo passato, sono stati respinti o – come recita il crudo linguaggio giudiziario degli USA – “deportati”. Portano cibo, acqua, coperte.
Altre ancora si recano sul versante USA del muro e, attraverso di esso, comunicano e fraternizzano con chi sta dall’altra parte. Talora pregano insieme. E condividono la Cena del Signore, il vino e il pane che Gesù condivise con i suoi discepoli. Una Comunione attraverso il confine. Anche questo è Essere chiesa insieme.