di Ivana Letizia De Stasi
(NEV) La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) per Mediterranean Hope (MH) – Programma rifugiati e migranti. Questa settimana lo sguardo proviene da Scicli
M. me lo ripete quasi quotidianamente che ha una “fidanzata”. Non ho idea dove abbia appreso questa parola, non mi sembra di averla mai affrontata nel corso delle nostre lezioni di italiano. Ne deduco che l’abbia ascoltata dai compagni di scuola.
Nelle mie ore lavorative pomeridiane presso Casa delle Culture lavoro con M. e A., due ragazzini siriani arrivati da pochi mesi in Italia tramite il progetto dei Corridoi Umanitari. L’obiettivo è quello di monitorare il loro andamento scolastico e di rafforzare le loro capacità linguistiche.
Spesso, molto spesso, le lezioni diventano l’occasione per raccontarmi aneddoti della loro vita ed è ormai da un po’ che M. mi parla della sua “fidanzata”. A quanto pare ha la sua età, 12 anni, ed è molto studiosa. Gli credo, mi sembra una storia veritiera… fino a quando A. mi dice che è tutto un film proiettato solo nella testa di M.! Infatti A. afferma che alla ragazzina in questione M. non interessi per niente. M., con costanza e perseveranza, le dice che è bella, le sorride…senza ottenere risultati. A. mi dice addirittura che un giorno, tornando a casa da scuola, M. ha lasciato dei fiori davanti alla porta della casa della ragazzina: gesto di grande romanticismo che però non ha fatto cambiare idea all’amata.
Durante le lezioni con M. e A. concedo loro di dilungarsi su racconti del genere perché sono una buona base per conversare in italiano e poi perché mi ammalia la narrazione della normalità. Nel loro italiano ricco di verbi non coniugati si percepisce la bellezza della normalità e la voglia di quotidianità che questi bambini hanno nonostante ciò che hanno vissuto nel loro paese di origine. Sono bambini che a 12 anni potrebbero già riempire le pagine di un libro raccontando la loro vita: la guerra in Siria, il tentativo fallito di scappare in Turchia, le montagne percorse a piedi per giungere in Libano, le precarie condizioni vissute nella periferia di Beirut, l’arrivo in Italia. In questa loro autobiografia ci sarà sicuramente posto per raccontare delle corse in bici per le strade di Scicli, delle partite a pallamano, dell’aiuto dei compagni a scuola. Magari M. potrebbe iniziare raccontando di quel giorno in cui ha lasciato dei fiori davanti alla porta della casa del suo amore non corrisposto.