La fiction “Lampedusa” appena trasmessa dalla Rai e la programmazione nella prima serata del 3 ottobre del film “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi costituiscono gli effetti più evidenti e popolari dell’istituzione della “Giornata nazionale delle vittime dell’immigrazione” approvata dal Parlamento il 16 marzo scorso. Come noto, la Giornata cade nell’anniversario della morte, a pochi metri dalle coste di Lampedusa, di 368 persone: nella triste storia delle migrazioni mediterranee non è stato l’incidente più grave e con il maggiore numero di vittime ma quello che, grazie alle testimonianze degli isolani, si è meglio scolpito nella nostra memoria.
Possiamo quindi sperare che in questa giornata si abbassino i toni della polemica sulla gestione dei flussi migratori dal Nord Africa e dal Medio Oriente per concentrarsi sul prezzo umano e morale delle attuali politiche migratorie: oltre quattromila morti in un anno, 11 al giorno secondo una fredda e cinica statistica che non sembra inquietare la coscienza dell’Europa. Dal 2011 ad oggi, infatti, la serie dei dati sulle vittime delle migrazioni mostra un costante aumento che le operazioni di “search and rescue” promosse dall’Unione europea non riescono a contenere. Non si muore, insomma, di incidenti in mare ma di politiche di immigrazione sbagliate perché assolutamente inadeguate a gestire i particolari flussi di questi anni. I singoli stati e l’Unione europea non comprendono che la diversa natura delle “nuove migrazioni” impone nuovi e diversi strumenti di “governance” di questi processi. Chi scappa dal Mali, dalla Nigeria, dall’Eritrea, ovviamente dalla Siria e da vari paesi dell’Africa subsahariana, non sono più il giovane uomo o la giovane donna che cercano nuove opportunità di lavoro e di promozione sociale. Sono persone di ogni età e un tempo di ogni ceto sociale perseguitate da guerre, dittature, violenze e ricatti che cercano, disperatamente e a qualsiasi prezzo, una via di fuga. Sono persone che sanno perfettamente che in mare si muore e che, tuttavia, tra lasciarsi morire nei tuguri di improvvisati campi profughi o nelle carceri della dittatura di turno, scelgono un’altra strada.
E’ a partire da queste considerazioni che oltre un anno fa la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio hanno provato a lanciare la proposta dei “corridoi umanitari” e cioè di una sperimentazione – una “buona pratica” nel linguaggio della burocrazia UE – che consente a persone in condizioni di vulnerabilità di ottenere un “visto umanitario” permettendo loro l’ingresso sicuro e legale in Italia. Approvata dai Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri, questa sperimentazione è diventata operativa all’inizio dell’anno e, ad oggi, ha consentito l’arrivo in Italia di circa 300 persone; un altro centinaio è atteso nelle prossime settimane. In mezzo a fiumi di parole e di polemiche contro gli immigrati da una parte e per denunciare l’inadeguatezza delle politiche migratorie dall’altra, questa iniziativa è una delle pochissime proposte concrete in campo. Una piccola cosa – potremmo dire una goccia nel Mediterraneo – ma molto concreta, sostenibile e replicabile da altri paesi. E’ questo lo sforzo nel quale ormai da mesi sono impegnate sia la Federazione delle chiese evangeliche che la Comunità di Sant’Egidio: allargare i corridoi umanitari, aprirne da e verso nuovi paesi, insomma trasformare un esperimento in una strategia europea di gestione dei flussi migratori.
Questo il messaggio che la FCEI lancerà da due luoghi simbolici: Lampedusa, dove ancora in questi giorni e in queste ore arrivano migranti stremati salvati dalla Guardia Costiera e da altre unità operative nel Canale di Sicilia; e Scicli (RG), la splendida cittadina barocca dove da due anni opera la Casa delle Culture, un altro segmento del lavoro di Mediterranean Hope, centrato sull’accoglienza ai minori non accompagnati che arrivano, sempre più numerosi, al porto di Pozzallo. Nessuna palla di vetro consente di predire il futuro ma sulla base dei dati statistici in nostro possesso possiamo prevedere che questo fenomeno sarà sempre più massiccio. Ed è un dato del tutto coerente con la forza dei “fattori di espulsione” che caratterizzano i nuovi flussi migratori: non si parte più perché “attratti” nei paesi più sviluppati ma perché “espulsi” da quelli al collasso politico, economico e sociale.
Ben vengano film e fiction se ci aiutano a riflettere, ben venga anche una giornata istituzionale che aiuti a ricordare le vittime ma memoria e cordoglio avranno senso soltanto se – evangelicamente – unite al ravvedimento