Lampedusa, Agrigento , 22 ottobre 2014 – Ci sarebbe da chiedersi perché in Italia l’opinione pubblica sia concentrata su quanto si spende per i migranti e non lo sia altrettanto per i sistemi di guerra che si stanno sviluppando nel nostro Paese.Se c’è un luogo in cui questa domanda si pone oggi in tutta evidenza è Lampedusa, isola di salvezza da sempre ma anche di reclusione, frontiera aperta o reticolato che respinge. In questi giorni nell’isola si sta discutendo e ci si sta confrontando sulla presenza di radar, sia su quelli installati da tempo sia su quelli che sostituiranno i precedenti. In tempi recenti una vicenda simile è avvenuta in Sicilia rispetto al sistema di telecomunicazioni satellitare MUOS, questione tuttora aperta e tema caldo per la politica siciliana.
Lampedusa, in questi giorni, ha visto scendere dalla nave tre grandi camion verdi dell’aeronautica militare che trasportavano un nuovo radar, un evento che ha provocato forte preoccupazione tra gli abitanti dell’isola, che chiedono delucidazioni per gli effetti che questi sistemi, presenti sia sul lato di ponente che di levante dell’isola, possono avere sulla salute della cittadinanza. L’associazione Askavusa e le mamme di Lampedusa sono state gli organizzatori di una raccolta firme (http://askavusa.wordpress.com/) e di una iniziativa pubblica nella quale si è informata la popolazione locale dei rischi derivanti dall’esposizione alle onde radar. Le associazioni chiedono innanzitutto trasparenza sugli atti e sugli effetti dei radar sui cittadini e si sono attivate per spegnere almeno uno di questi sistemi, viste le sentenze del TAR che hanno disposto per altre regioni il rispetto del principio di cautela per la popolazione. Questa lotta sarà un processo lungo, fatto di ricorsi, perizie e controperizie. Il sistema radar che l’Italia sta sviluppando, di cui quello di Lampedusa è una parte, costerà quasi trecento milioni di euro. Una cifra elevata, ma se consideriamo che l’Italia spende ogni giorno circa 70 milioni di euro per le spese militari e per gli armamenti (http://www.voltairenet.org/article185247.html), ci rendiamo conto che quella dei radar è solo la punta di un iceberg. Una cifra colossale che, come dicevamo, non è oggetto di discussione nell’ambito pubblico pur di fronte ad un periodo di forte crisi, dove invece il tema dominante sembra essere l’estrema spesa per le politiche di accoglienza dei migranti e rifugiati politici. Ma quanto si spende per i migranti e per le politiche di accoglienza? C’è da dire, prima di tutto, che ragionare in termini economici fa passare in secondo piano l’importanza di investire per garantire i diritti a una vasta parte della popolazione. Le persone vengono ancora una volta oggettivate e rese numeri all’interno di un bilancio. Un esempio lampante è dato dalla vicenda di Frontex. Come scrive il portale Redattore Sociale (http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/464412/Per-la-Fortezza-Italia-una-spesa-7-volte-maggiore-dell-aiuto-ai-rifugiati) la maggioranza della spesa europea non è per l’accoglienza ma per la lotta all’immigrazione clandestina e per i dispositivi di controllo delle frontiere, che spesso sono sviluppati con finanziamenti europei per essere poi utilizzati in ambito militare (http://www.meltingpot.org/UE-nuovi-investimenti-per-programmi-militari-di-chiusura.html#.VEdvEvmsXDs). Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto più dettagliato che conosciamo è quello pubblicato da Lunaria, che si riferisce al periodo tra il 2005 e il 2012 e che, quindi, non tiene conto dei costi di Mare Nostrum, la cui spesa è di circa 100 milioni l’anno, molto inferiore ad esempio a quella di 185 milioni della missione in Afghanistan (http://www.analisidifesa.it/2014/07/il-governo-stanzia-446-milioni-per-le-missioni-oltremare/). Nel rapporto di Lunaria si evidenzia come nel 2011, nonostante i cittadini stranieri paghino contributi consistenti sia per il livello pensionistico che per i servizi, alle politiche di accoglienza venga destinata una risorsa minimale della spesa, si parla dello “0,017% della spesa pubblica complessiva rispetto allo 0,034% di incidenza degli stanziamenti destinati alle politiche del rifiuto” (http://www.cronachediordinariorazzismo.org/i-diritti-non-sono-un-costo/spendiamo-troppo-per-accogliere-gli-immigrati/). Purtroppo mancano degli studi più aggiornati sui reali costi delle politiche di contrasto all’immigrazione e le politiche di accoglienza nel nostro paese, e a volte la connessione tra i due temi è talmente stretta da risultare impossibile separare le voci. Mare Nostrum, ad esempio, è un’operazione che è stata pensata sia per il salvataggio dei migranti ma anche per il contrasto delle organizzazioni criminali che programmano i viaggi dei profughi in fuga. I dati dell’inchiesta di Lunaria ci dicono che in Italia, dal 2005 al 2012, gli stanziamenti ordinari destinati alle politiche di accoglienza e di inclusione sociale dei migranti si aggirano intorno ai 123,8 milioni di euro l’anno, pari a circa la metà di quelli mediamente destinati alle politiche del rifiuto, circa 247 milioni l’anno. Allo stesso modo, manca un’analisi dettagliata delle denunce fatte a quegli enti ed associazioni che continuano a speculare sulla pelle dei rifugiati e richiedenti asilo, così come è assente uno studio adeguato sulla qualità degli interventi rispetto a tutte quelle procedure considerate emergenziali (http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/05/06/news/la_grande_truffa_dei_centri_accoglienza-85402037/?fb_action_ids=857593834271725&fb_action_types=og.recommends). A Lampedusa, il legame tra processi militari e politiche di accoglienza sembra essere più evidente che altrove. Ma, come ricordiamo sempre, quest’isola è un pezzo di Italia, e quello che succede alla frontiera determina effetti anche al centro. Il costo più alto rimane comunque quello della perdita di vite umane, più di 3000 dal solo inizio del 2014.