Mediterranean Hope, insieme a Medu, Sos Rosarno e altre associazioni impegnate nella Piana di Gioia Tauro, hanno risposto alle dichiarazioni del vice presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì, a seguito di alcuni “disordini” scoppiati nelle tendopoli dove vivono i migranti
Roma (NEV), 2 aprile 2020 – La situazione nelle tendopoli della Piana di Gioia Tauro è molto tesa. Comprensibile, visti i rischi per la salute che corrono le persone che ci vivono, e che vedono lesi i loro diritti primari da prima dell’emergenza sanitaria in corso.
Il 31 marzo, riguardo a questi episodi, si è espresso in questi termini, con una nota, il vice presidente della Giunta regionale calabrese Nino Spirlì:
“È inaccettabile che i migranti rifiutino il cibo con la violenza, mentre migliaia di calabresi, che noi stiamo comunque aiutando, non hanno nemmeno un euro per entrare nei supermercati […] Abbiamo provato ad allestire una cucina da campo in grado di fornire mille pasti caldi al giorno per soddisfare, non solo le esigenze degli occupanti della tendopoli, ma di quelli sparsi su tutto il comprensorio della Piana. Purtroppo, i migranti non hanno gradito. Gli operatori della Protezione Civile Regionale e i volontari non hanno avuto neanche il tempo di allestire la cucina. Con i mezzi carichi di viveri, pronti per essere cucinati, sono stati costretti ad abbandonare la tendopoli su invito della Polizia di Stato, che non avrebbe potuto fermare i disordini. Ho già sentito il Prefetto di Reggio Calabria, con il quale condividiamo lo stesso rammarico, e lavoreremo insieme per tenere la situazione sotto controllo”.
E ancora, “Non accetto che un solo migrante abbandoni il campo o si sposti senza rispettare le regole che tutti indistintamente siamo tenuti ad osservare. Loro non sono esenti. Avevamo privilegiato la situazione dei migranti della Piana per evitare disordini e strumentalizzazioni, per consentire loro una vita quantomeno umana, ma non è stato possibile. Il sindaco Andrea Tripodi mi è testimone. Sconcertato, tanto quanto me. […] Ora è il tempo dei calabresi! Sto approntando un piano per aiutare le famiglie in difficoltà. Piegati dal fermo voluto dal Governo a causa del coronavirus. È vergognoso che la gente muoia di fame e loro rifiutino il cibo. Non è questo il modo di rispondere ad un’offerta umanitaria”.
Di fronte a queste parole, Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, con le associazioni Medici per i Diritti Umani, SOS Rosarno, Sanità di Frontiera, Csc Nuvola Rossa e Co.S.Mi. (comitato solidarietà migranti), Hospitality School che operano nella Piana di Gioia Tauro, hanno deciso di replicare.
“Riteniamo – hanno scritto ieri in un comunicato congiunto – che ad essere inaccettabili siano in primo luogo le drammatiche condizioni abitative e di sfruttamento lavorativo a cui sono costretti da più di dieci anni i braccianti agricoli della Piana. È opportuno ricordare che i destinatari delle dichiarazioni del Vicepresidente della Regione Calabria sono dei lavoratori di norma sfruttati e che a causa dell’attuale emergenza si vedono negata la possibilità di recarsi sul luogo di lavoro poiché sprovvisti di un regolare contratto. Non stupisce dunque che per queste persone l’ennesima proposta assistenzialista abbia rappresentato la classica “goccia che fa traboccare il vaso”.
Proprio come i calabresi, questi lavoratori avrebbero piuttosto bisogno di vedersi riconosciuti, nel quotidiano e non solo ai tempi del Coronavirus, dei basilari diritti di cittadinanza quali l’accesso alle cure, ad un’abitazione dignitosa, ad un lavoro non sfruttato”.
Le realtà impegnate per la tutela dei diritti hanno voluto anche precisare la dinamica degli “incidenti” che ci sono stati nelle tendopoli.
“La mattina del 31 marzo – continuano – due delle associazioni firmatarie si trovavano presso la tendopoli e hanno assistito all’esplodere della rabbia dei braccianti, che chiedevano a gran voce di poter provvedere autonomamente alla preparazione dei pasti, un aspetto evidentemente non secondario per chi si trova in questo momento a vivere una condizione di assoluta precarietà e passività, a causa della forte limitazione dei movimenti, dell’impossibilità di svolgere qualsivoglia attività, data la natura dell’insediamento e dell’impossibilità di lavorare e quindi di poter provvedere alla propria sussistenza.
Tale situazione è frutto di una carenza di informazioni strutturata che permette al passaparola di aumentare rabbia e frustrazione da parte degli abitanti della Tendopoli, in merito alle disposizioni di sostegno al reddito, nonché all’approvvigionamento alimentare a favore di persone indigenti. Pertanto, invitiamo le Istituzioni tutte ad organizzare un dialogo che possa permettere un reale confronto con gli abitanti della Tendopoli e che garantisca un corretto accesso alle informazioni da parte dei braccianti.
Registriamo, inoltre, l’amarezza e la frustrazione del Sindaco di San Ferdinando con cui abbiamo avuto, nel corso degli anni, un’ottima collaborazione. Frustrazione data dall’assenza di interventi strutturali da parte di Regione e Prefettura, nel corso degli anni”.
Di qui, ancora una volta, la proposta della società civile: i ghetti vanno smontati, subito, e le persone trasferite in luoghi salubri, dove possano rispettare le norme igienico-sanitarie contro il Covid19.
“Come abbiamo già dichiarato in un recente documento indirizzato al DG Dipartimento Salute e politiche sanitarie, nonché alla Presidenza e alla Vicepresidenza della Regione Calabria e contenente delle proposte operative per arginare il pericolo di contagio, – concludono MH e gli altri soggetti – la priorità per questi lavoratori è poter accedere ad un alloggio che garantisca condizioni igienico sanitarie adeguate, imprescindibili per prevenire la propagazione del contagio. Se non si garantiscono innanzitutto condizioni di vita che permettano di proteggere la propria salute e quella della collettività – presso la tendopoli dove le persone vivono in 8 per tenda, per un totale di più di 400 persone con pochissimi servizi igienici a disposizione – è inevitabile aspettarsi delle rivendicazioni in merito alla loro condizione di vita che possano aumentare la tensione sociale, anche di fronte ad iniziative animate da buoni propositi”.