REGGIO EMILIA – “Ero pronto ad andare per mare, sì coi barconi…ma che alternativa avevo?”. Akram Alnaaimy ripete le parole cercando di spiegarsi alla coppia marocchina che fa da interprete. “Una decisione drammatica, ma ogni giorno era come morire cento volte: quando vedi che tua moglie non può uscire da sola, nemmeno andare all’ospedale, che i tuoi figli non possono andare a scuola, che tu non puoi lavorare, quando la tua casa è distrutta”. Isra, velo e vestito nero lungo con un fiore ricamato, stringe Khaled, un fagotto di una settimana appena. “Lui è nato qui”. E sorridono, Akram e Isra, trentenni siriani, quattro figli che giocano intorno e il sesto in braccio, nell’appartamento della parrocchia di Brescello dove tutti quelli del paese hanno portato qualcosa: un armadio, i vestiti, i pannolini.
La famiglia di Akram è accolta insieme ad altre quattro nella Bassa reggiana, tra Bagnolo, Novellara, dove un gruppo di famiglie paga l’affitto ai “nuovi paesani”, Santa Vittoria di Gualtieri. Ventitue profughi in fuga dalla guerra in Siria, i primi (e per ora gli unici) ad arrivare in Emilia Romagna con il corridoio umanitario promosso dalla comunità di Sant’Egidio, dalle chiese evangeliche e valdese, che ne ha portati in Italia 93 e che in due anni ne farà arrivare mille. E’ il primo canale in Europa aperto in questo modo, l’alternativa ai viaggi della morte in mare, un’altra accoglienza possibile: ai profughi dal Libano, per lo più siriani, dal Marocco e dall’Etiopia viene fornito un visto per motivi umanitari rilasciato dall’ambasciata italiana di Beirut, grazie a una intesa firmata coi ministeri degli Esteri e Interni. Poi il volo aereo e la richiesta di asilo, la rete di solidarietà fatta di decide di volontari, una iniziativa autofinanziata (anche con l’8 per mille della chiesa valdese), coordinata dalla Caritas nel Reggiano.
“E’ un progetto pilota per far vedere che utilizzando gli strumenti legislativi già a disposizione dell’Unione Europea senza toccare il sistema di asilo politico è possibile far entrare regolarmente delle persone”, spiega Daniela Pompei, responsabile dei servizi ai migranti della Comunità di Sant’Egidio. “E’ un progetto quindi replicabile in altri Paesi insieme alla società civile. L’apertura dei corridoi umanitari dimostra quindi che è possibile costruire vie di ingresso regolari senza dover affrontare i viaggi della morte”.
Akram è arrivato così. Il volo Beirut-Roma, poco più di un mese fa. “Era la prima volta che salivamo su un aereo, ho provato un senso di pace e sicurezza”, racconta. “La nostra casa era a Homs, nel quartiere di Bab El Hamra, facevo il piastrellista, poi sono cominciate le proteste e i bombardamenti. Siamo fuggiti in Libano con le auto che davano un passaggio per attraversare il confine”. Nel campo profughi di Tel Abbas hanno vissuto per quasi quattro anni. Qui l’incontro coi volontari dell’Operazione Colomba, della Papa Giovanni XXIII, come Mattia, che è di Brescello ed ora è per loro un fratello adottivo: “Abbiamo fatto la proposta alle persone più fragili. Ma tanti hanno anche esitato, per paura di lasciare la loro terra, nonostante tutto”. Quando l’esercito libanese ha cominciato a sgomberare i campi si è scatenato il panico, quindi la decisione di partire “per disperazione”, la possibilità di farlo col corridoio umanitario.
“L’Italia ci ha accolti bene, un sogno: qui i nostri figli vanno a scuola, hanno più di quello che potrei dare loro come madre. Loro sono la mia vita, li difenderei ad ogni costo”, le parole di Isra mentre offre dolci a chi arriva in visita. Sabah, Mohamed, Karima e Rasha corrono e ridono, la più grande ha 12 anni, sanno già farsi capire in italiano. “La prima volta che sono andati a scuola e mi sono dovuta staccare da loro ho pianto – continua Isra – Io spero nella pace, vorrei un giorno tornare in Siria. Basta guerre, noi non c’entriamo nulla, prima vivevamo senza differenze tra sunniti, sciiti, cristiani”. Akram congiunge le mani, “grazie, shukran”, ripete. Isra socchiude gli occhi: “Serenità, ecco cosa ho trovato qui. E sono felice. Inshallah, se dio vuole”.