(con la collaborazione di Linda Staffieri e Alberto Mallardo) Lampedusa, Agrigento (NEV), 8 luglio 2015 – Ogni settimana raccontiamo qualcosa da quest’isola. Raccontiamo quello che vediamo o quello che abbiamo imparato a vedere. E in questi giorni possiamo dire che “lo sguardo di Lampedusa” si allarga.
Passeggiando sulla via principale del paese, via Roma, senti tra i passanti: “dalla televisione sembra che qui ci sia una costante invasione ed emergenza, ma non è così! E pensa che quel mio collega, in aula professori, mi ha dato del matto quando ha saputo che venivo qui in vacanza…”. Invece, l’unica emergenza è quella di un mare stupendo e dei meravigliosi branchi di delfini. Poi il tuo occhio attento vede seduti su una panchina, davanti a una televisione che trasmette un documentario su Lampedusa, cinque ragazzini eritrei. Hanno pantaloni della tuta, magliette colorate e guardano lo schermo. Tra di loro, senza accorgersene, si siedono dei turisti a guardare lo stesso documentario. E tu ti rendi conto che sono poco più che bambini. Stanchi, un po’ spaesati, ma pieni di voglia di vivere. Vedi questo e speri di saperlo raccontare, di essere in grado di far capire quello che succede qui, come viene vissuto e quanta distanza ci sia tra scelte politiche lontane e la vita di milioni di persone. Intanto parte il primo aereo francese dell’operazione Eunavfor Med, la missione per ora ha l’obiettivo di monitorare i flussi e successivamente di distruggere i barconi per indebolire i traffici di esseri umani. E ancora una volta pensi che ultimamente di barconi non ne partono molti, si mettono in mare gommoni gonfiati all’ultimo e che sopra ci sono persone, donne, bambini, famiglie, e quei cinque ragazzini che hai visto su via Roma. “Lo sguardo di Lampedusa” si allarga, perché raccoglie quello dei turisti che vengono qui per la prima volta, di quanti nonostante siano in vacanza passino da Mediterranean Hope per capire qualcosa di più e poi tornino a casa con una visione diversa. Lo sguardo si allarga perché questa settimana diamo spazio anche ad altri occhi, quelli di due volontari che sono con noi da qualche settimana e stanno sperimentando direttamente lo scarto tra quello che si racconta in genere di Lampedusa e come l’isola sia realmente. Linda Staffieri, giovane studentessa di giurisprudenza a Roma, ci restituisce queste riflessioni. “Ciò che sicuramente colpisce di Lampedusa sono le immagini che l’isola regala. Il turista non può che godere della vista di cale meravigliose, ma una volontaria di Mediterranean Hope è più fortunata, può accedere al volto dell’isola paradossalmente più nascosto, nonostante appaia come quello più spettacolarizzato. Qui, però, l’immagine mediatica di un barcone stracolmo di persone si sostituisce inevitabilmente con altre. La prima che mi viene in mente è quella di uno sbarco piuttosto insolito di una settimana fa, circa duecento migranti che, prima di arrivare sul molo, applaudono fragorosamente e gioiscono di essere al sicuro dopo mesi di sofferenze vissute nei loro Paesi così come durante il viaggio affrontato per arrivare in Europa. I loro sorrisi sono in contrasto con i racconti tragici che offrono sistematicamente le televisioni. Le loro storie sono certamente drammatiche ma ciò non li priva della gioia di essere vivi. E nell’emozione di quel momento, anche noi che siamo al molo per dargli il benvenuto, ci facciamo contagiare da questa energia e ci uniamo al loro applauso di felicità. Allora, ai numeri che vengono proposti dai giornali si sostituiscono le storie che possiamo vivere direttamente e quelle che i migranti stessi ci riferiscono. Rimangono impressi i racconti di ventenni che appaiono già vecchi, scappati da violenze e mesi di prigionia in Libia, povertà e fame, così come assenza di diritti e libertà nei loro Paesi. Il privilegio di una volontaria di Mediterranean Hope a Lampedusa è quindi quello di riappropriarsi di un altro tipo di narrazione, basata sull’esperienza diretta e sulla necessità di ricordare che ogni persona che arriva è portatrice di una storia e della dignità di un essere umano.” Alberto Mallardo, antropologo arrivato a Lampedusa dopo diverse esperienze, ci offre il suo sguardo di Lampedusa. “Appena arrivato, le storie di chi, spinto da guerre, povertà, persecuzioni o ambizione personale lascia ogni giorno la sua terra d’origine per raggiungere l’Europa sembrano nascondersi dietro un muro fatto di cemento e divieti d’entrata, forze dell’ordine e militari. La sensazione è quella di vivere in un’isola dove di migrazioni si parla e si discute ma da dove i migranti sono stati rimossi. Rimossi dalla vista sensibile di chi è a Lampedusa a trascorrere un sereno periodo di vacanza. Rimossi in quanto pericolosi e infetti, in modo da esorcizzare la paura della povertà e della miseria che essi possono rappresentare ai nostri occhi. Dopo pochi giorni, però, quella dimensione prima nascosta, mi è stata restituita in tutta la sua fragile e incredibile umanità. È oggettivamente difficile descrivere le sensazioni provate quando, dopo qualche minuto d’attesa, si palesano davanti ai tuoi occhi centinaia di persone stanche e spossate da mesi di viaggio, i volti spesso sorridenti e determinati di chi ha scelto di affrontare un cammino colmo di ostacoli e imprevisti. Lunghe soste, interminabili periodi di attesa e poi marcie e trasferimenti forzati. Guardandomi intorno al molo Favarolo, non posso fare a meno di pensare a tutto questo. La presenza, lo stare qui ed ora, nel posto giusto, non è quindi cosa che può essere descritta facilmente in tutta la sua irriducibile complessità. Ed è anche per questo che invito chiunque possa a trascorrere a Lampedusa le proprie ‘vacanze’. Perché esse non siano solo un periodo di svago ma anche un momento di arricchimento personale. Se saprete fermarvi ad ascoltare Lampedusa vi rivelerà un mondo dove l’accoglienza non si esercita in modo esclusivamente meccanico, ma da secoli è fatta di incontri, tentativi di comprendere l’altro e piccoli gesti quotidiani.