La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è stato scritto da Marta Barabino, Elisa Biason, Niccolò Parigini
Sul muro scrostato sono ancora visibili le facce dai colori allegri e la scritta che le accompagna, dalla quale appaiono logore le parole “difendere le persone non i confini”.
A questo segue l’ingresso nella zona militare, si manifesta davanti agli occhi il molo lungo alcuni metri. La pavimentazione è sconnessa, sgretolata in alcuni punti. I sassolini che formano il battuto intralciano il passo di tanto in tanto. Alcune persone del Forum Lampedusa Solidale avevano raccontato a proposito di questi sassolini, di uno sbarco in cui chi scendeva, oltre ad avere i piedi scalzi e gonfi, si reggeva a stento. Raccontavano il laborioso tentativo di spostare quei sassi con un cartone nella speranza di poter favorire il, comunque, doloroso tratto da percorrere.
Quest’estate l’esalazione del carburante delle taniche accumulate sulla banchina faceva bruciare le narici e la mascherina sembrava offrire un vago riparo da quell’odore nauseante. L’ingresso nella stagione invernale appare ora diverso già nell’odore dell’aria, perché il freddo attutisce il cattivo odore dei vapori. Sono scomparse le barche accumulate lungo il molo, dopo il grave danno causato dalla mareggiata che ne aveva sparso detriti lungo le spiagge dell’isola. Il molo è vuoto e lo sciabordio delle onde riempie questi primi istanti insieme alla stretta allo stomaco durante l’attesa. Appare la prima bitta, bassa e robusta colonna alla quale si avvolgono le cime delle barche che arrivano scortate in porto. Osservare questo enorme groviglio avviluppato fa pensare che quelle cime si aggrappino alla bitta proprio come le persone migranti alla speranza di raggiungere l’Europa. Le cime attaccate dovrebbero garantire un approdo sicuro, in un luogo riparato, così come l’Europa dovrebbe garantire alle persone la tutela della vita e della salute, stando a quanto firmato nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea o alla Convenzione di Ginevra dai Paesi membri dell’Unione. Quelle carte ci ricordano e ci danno la speranza di essere in un posto in cui ci sono diritto e libertà. Ed è così che sopraggiunge la notizia di un naufragio avvenuto il 25 gennaio: 17 persone, tra cui donne e bambini, sono morti durante un respingimento da parte della cosiddetta guardia costiera libica a bordo di una motovedetta finanziata dagli accordi stipulati con l’Italia. Dall’inizio di gennaio sono 150 le persone arrivate a Lampedusa, circa 60 le persone morte durante la traversata della rotta del Mediterraneo centrale.
Tra i mesi di gennaio e giugno 2020 sono arrivate in Italia 6.950 persone. Il numero degli arrivi dalla Libia è cresciuto sia in valore assoluto che in proporzione rispetto agli arrivi da altri paesi, da circa un terzo (32%) a oltre la metà (53%) tra il primo semestre 2019 e il primo semestre 2020 (IDOS 2020). Con circa il 60% delle partenze registrate sia nel 2019 che nel 2020, la Libia si attesta come il principale paese di partenza del Mediterraneo Centrale. Secondo i dati raccolti dal personale OIM presente ai luoghi di sbarco in Libia, sono almeno 5.470 le persone intercettate e riportate indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica nei primi sei mesi del 2020. Si tratta di circa il 42% in più rispetto a quanto registrato nel primo semestre del 2019, ovvero 3.850 persone. Almeno una persona su due di quelle partite nel 2020 dalla Libia con l’intento di attraversare il Mediterraneo non è riuscita ad arrivare in Italia o a Malta ed è stata riportata indietro. La Libia non può essere considerata luogo sicuro poiché non sono garantiti i diritti umani e la salvaguardia del principio di non respingimento per coloro che desiderano chiedere asilo in Europa (IDOS 2020).
In tutto il bacino del Mediterraneo, partenze e arrivi hanno ripreso ad aumentare in modo più marcato dal mese di luglio. Nonostante l’assenza delle ONG in mare, gli sbarchi autonomi dalla Tunisia sono aumentati, sia a Lampedusa sia nel resto della Sicilia, in seguito al peggioramento della situazione economica scatenata da assenza di turismo e dal lockdown. I mesi estivi sono trascorsi con la mancanza di procedure chiare per gli approdi, per le criticità legate alla collocazione delle persone rispetto alla quarantena e alla successiva accoglienza, senza contare gli incidenti e i naufragi più o meno noti alle cronache.
Quello che appare davanti agli occhi è dunque un molo che si sgretola con le mareggiate per l’incuria e per l’essersi sottratti alle responsabilità delle manutenzioni. Si possono osservare i pezzi divelti dei laterizi che creano la frontiera in senso strutturale. Si nota il logorio operato dagli agenti atmosferici, l’attività della ruggine. Un pensiero parte proprio da questo luogo e dalla storia di quelle cime: quante braccia le hanno gettate verso il molo, quante vite, quante relazioni dentro ciascuna delle persone presenti su quelle barche, mamme, figli e figlie, ragazzi, uomini e giovani donne. Braccia che lanciano cime e piedi che percorrono il molo. In questi giorni di gennaio sono stati corpi traballanti, intirizziti dal freddo con mani sbiancate e gonfie che non riuscivano a tenere un bicchiere di thè. Corpi magri che perdono i pantaloni appesantiti dall’acqua, persone da sorreggere sentendo nel momento di contatto il freddo dei vestiti zuppi e le scosse dei tremiti. Le parole pronunciate in francese senza ottenere risposta per l’incapacità di parlare dovuta allo shock e il gelo. L’odore speziato del thè prima del sopraggiungere dell’odore acido dei pulmini che trasportano le persone verso l’Hotspot.
Il molo si sgretola sulle frontiere dell’Europa. Qual è la risposta giusta e onesta per le nostre coscienze? Per il rispetto degli acclamati diritti, per il senso di libertà che vogliamo venga riconosciuto innanzitutto a noi stessi? Se si considera libera una persona la si ritiene degna di rispetto e la si concepisce degna di rispetto perché la si considera libera.
Se noi priviamo della libertà e dei diritti altre persone, possiamo continuare a considerare noi stesse persone libere?