Dieci giorni a Lampedusa

Roma (NEV), 19 giugno 2024 – Era da tanto tempo che desideravo farlo e quest’anno, compiuti i 60 anni, ci sono riuscita. Desideravo andare a Lampedusa per vedere con i miei occhi questa realtà di cui si sente parlare tanto, il più delle volte perché c’è stato un naufragio e il conseguente arrivo di corpi, oppure per una mera cronaca politica. Ho potuto andare a Lampedusa come volontaria di Mediterranean Hope (MH), l’Osservatorio sulle Migrazioni della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia attivo dal 2014, è stato un periodo breve in cui sicuramente ho ricevuto più di quanto io non abbia potuto dare.

Stare a Lampedusa ha voluto dire per me entrare in relazione con una comunità diffusa sull’isola, una comunità fatta da giovani operatrici ed operatori, volontarie e volontari delle diverse organizzazioni presenti oltre a MH, come Save the Children, Maldusa, Sea Watch e con altre realtà lampedusane che aderiscono al Forum solidale come ad esempio la Biblioteca Ibby per bambini (che possiede la più grande raccolta europea di libri Silenti adatti cioè a bambin* di tutte le lingue).

Stare a Lampedusa ha voluto dire visitare il cimitero, ed essere catapultata nelle vicende che riguardano i corpi che giungono a seguito di naufragi, interrogarmi per la prima volta su che ne è di queste salme, di se e come è possibile per le famiglie poter fare un riconoscimento. E’ stata una grande emozione vedere le tombe con le ceramiche delicate che riproducono i disegni di Francesco Piobbichi (operatore MH e autore di diversi libri fra cui “Disegni dalla frontiera”), così riconoscibili all’interno del cimitero e che rendono dignità a chi ha perso la vita attraversando il Mediterraneo.

E poi c’è l’accoglienza al Molo Favaloro a chi arriva, una prima accoglienza fatta di gesti semplici come offrire un tè o un welcome kit ai bambini e alle bambine ( uno zainetto con un piccolo album da colorare e dei pastelli a cera) scambiare due parole con loro e dare un benvenuto prima che vengano accompagnati all’hotspot per il riconoscimento ufficiale e  ricevere la destinazione finale del loro viaggio, ma stare al molo vuol dire anche prestare attenzione a ciò che accade, a ciò che funziona e a ciò che invece non va, allo stato dei bagni così come alla correttezza di tutte le procedure.

Nei dieci giorni in cui sono stata a Lampedusa non ci sono stati tanti sbarchi, colpa sicuramente del mare grosso, ma anche di politiche che continuano a sbarrare la strada a chi cerca una possibilità altrove.

Gli interrogativi sono tanti, i pensieri in generale corrono in mille strade diverse, la cosa importante credo sia essere consapevoli delle responsabilità che i nostri governi hanno in questa storia fatta di espulsioni e morti, essere consapevoli che il minor numero di sbarchi sulle nostre coste non è un successo e non vuol dire che ci siano meno morti in mare. E’ necessario che tutt* continuiamo ad interrogarci, a chiederci cosa succede in quel mare e in quell’isola che pare essere così lontana ma che è parte della nostra storia.

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