La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Roma ed è stato scritto da Barbara Battaglia, che ha raccolto la testimonianza di un beneficiario dei corridoi umanitari dalla Libia, appena arrivato all’aeroporto di Fiumicino
Roma (NEV), 3 dicembre 2021 – “A volte mi siedo, da solo, da parte, in un angolo, e mi chiedo: “Ma sono sopravvissuto? Sono vivo, sono davvero ancora vivo?”. A. è del 1992, arriva dalla Somalia, è nato e cresciuto a Mogadiscio, ed è arrivato a Roma il 25 novembre scorso, con il primo corridoio umanitario dalla Libia.
“Sono stato rapito. Sono stato gravemente malato, malnutrito, ho avuto la tubercolosi. Ho passato 3 anni in Libia, in mezzo al deserto, dopo essere scappato dalla Somalia nel 2017 per la guerra ed essere passato da Etiopia e Sudan”, ha raccontato.
Perchè si scappa? Cosa si cerca? “Una vita migliore, un posto migliore. Non sono mai cresciuto in pace in Somalia, non c’è mai stata la pace mentre ero lì”. Dopo la guerra, una serie di lutti in famiglia, e la scelta di lasciare il proprio Paese.
Il volo del 25 novembre è stato il primo arrivo in attuazione di un protocollo firmato dai ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, UNHCR, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e Tavola Valdese. I voli sono organizzati secondo un nuovo meccanismo che unisce le buone prassi delle evacuazioni di emergenza e dei corridoi umanitari e riguarderà 500 persone.