Il grido del parroco di Lampedusa: “Europa ritrova il coraggio”

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Daniela Biella – Vita.it

“Abbiamo superato il colonialismo, l’essere nemici in due guerre mondiali, ma ora con i rifugiati stiamo dimenticando tutto. Ci vuole qualcuno con una nuova visione”, esorta don Mimmo Zambito proprio nei giorni in cui, con il volontariato locale, media con una ventina di persone che da una settimana dormono all’aperto sull’isola senza rientrare nell’hotspot perché vogliono raggiungere il Nord Europa anziché chiedere asilo in Italia, come invece impone il Regolamento Dublino III

“Gliel’avevo detto una decina di volte a voce ma non è bastato, a una delle persone del Sudan che da giorni dormono all’aperto qui a Lampedusa. Ho dovuto farlo sedere davanti al computer con la cartina dell’Europa è spiegarglielo: la Svezia, dove è rifugiata sua moglie, è lontana e divisa da tante frontiere, mettersi in viaggio nella difficile situazione attuale, in cui sembra prevalere la logica dei muri, non è la decisione giusta. Ma lui sembra non volere proprio lasciare le impronte all’hotspot – il Centro di identificazione voluto dall’Ue proprio nel Cpsa, Centro di primo soccorso e accoglienza, di Contrada Imbriacola – perché sarà obbligato a rimanere in Italia, sempre che riesca a presentare la propria domanda d’asilo”. Don Mimmo Zambito, parroco di Lampedusa dal 2013, parla chiaro: in questi hanno ha visto di tutto, per quanto riguarda le difficoltà dell’accoglienza ai migranti, e i mezzi termini lasciano il tempo che trovano, in questo dramma che porta migliaia di persone a perdere la vita nel Mar Mediterraneo e altre decine di migliaia, superstiti, a cercare di superare gli ostacoli, burocratici e non, sempre più in vigore in una disumana Fortezza Europa.

Erano 70, sabato 8 maggio 2016, i migranti di varie nazionalità, Sudan ed Egitto in primis, allontanatesi dall’hotspot: “non potrebbero uscire, ma di fatto si riesce anche perché lasciare l’isola è impossibile senza documenti e comunque l’uscita anche solo durante la giornata alleggerisce un Centro che da tempo ha superato la capienza regolamentare”, sottolinea il parroco. Il loro numero è sceso a una ventina dopo qualche giorno di protesta. “Abbiamo passato momenti delicati e di tensione, perché rispetto alle altre volte ci siamo trovati di fronte a una sorta di tempesta perfetta, ovvero una mancanza di immediata mediazione da parte della popolazione, a cominciare dalla nostra parrocchia – impegnata con le Cresime – dalle suore, dalla Caritas, dalla Tavola valdese e dagli attivisti, come invece accade quasi sempre in situazioni di emergenza a Lampedusa”, ragiona Zambito. “Per fortuna non è successo niente di grave, e anche gli stessi migranti hanno capito le varie situazioni, per esempio spostando il loro presidio in piazza della Chiesa durante un funerale”. L’eterogeneità delle nazionalità presenti ha portato a diversi tipi di richieste, così dopo i primi giorni confusi e successivi dialoghi con volontari e avvocati una parte di loro è rientrato nell’hotspot accettando l’identificazione e venendo poi trasferito in Sicilia, mentre attualmente sono ancora 11 le persone per strada a Lampedusa (la cui amministrazione comunale fa parte della neonata rete di sindaci contro i muri, lanciata proprio dal sindaco locale, Giusi Nicolini), che chiedono di essere trasferiti ad Agrigento e poi identificati.

“La questione del discusso Regolamento Dublino III è centrale”, indica il parroco lampedusano, “perché successivamente al rilievo delle impronte queste persone non sanno consa attende loro, e soprattutto solo per alcune nazionalità viene garantita la domanda d’asilo e, in base alle ultime norme, la conseguente ricollocazione in altri Stati – ovvero Siria, Eritrea, Afghanistan e Iraq – gli altri, denominati genericamente migranti economici, rischiano il respingimento. Ma stiamo parlando di persone che andrebbero ascoltate una ad una, perché ogni storia di vita è diversa, piena di complessità, e a molte di queste persone né il sole né la sete le ha fermate dal venire qui in Europa alla ricerca di una vita migliore”. L’associazionismo denuncia la prassi del respingimento differito, ovvero la pratica di lasciare la persona in territorio italiano al di fuori di una struttura con in mano un foglio di via entro sette giorni da Fiumicino anziché una richiesta d’asilo. “L’Italia compie un atto di civiltà immenso nel salvare vite umane in mare. Poi però tale azione si blocca per l’incertezza del diritto europeo”, denuncia il sacerdote.

“Il salvagente temporaneo sta nel fatto che il documento lasciato in mano al migrante così come le numerose loro testimonianze che raccontano i non essere stati informati del diritto di chiedere asilo, è comunque impugnabile da avvocati e società civile per un ricorso e quindi spesso rimanda la possibilità di un rimpatrio immediato. Ma questa è una pezza, ci vorrebbe una soluzione che concili umanità e legge, il problema è che oggi siamo in un’Unione europea che sta perdendo una grande opportunità”. Quale? “Quella di dimostrare a se stessa di avere coraggio e di confermare lo spirito unitario con il quale è nata. Stiamo parlando di nazioni che si sono messe assieme dopo essere state colonialiste per decenni prima di vederne i limiti e gli errori, dopo essersi fatte guerra tra di loro causando milioni di morti: ora, di fronte alla richiesta di aiuto di tante persone che vengono da fuori, anziché riaffermare i propri valori ci si chiude in egoismi”, analizza il parroco lampedusano. “Lo ammetto, spesso sono preso dallo sconforto. Poi riprendo la speranza, certo, ma per uscire da questo periodo buio ci vorrebbe l’arrivo nelle istituzioni di qualcuno con una visione nuova, coraggiosa. Che faccia un concreto passo verso l’altro”.

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