Arizona, Stati Uniti, 24 febbraio 2016 – Come ogni settimana mi trovo al rifugio per migranti a Nogales, in Messico, a pochi passi dal confine con gli Stati Uniti. Qui alla Kino Border Initiative (KBI), gestita dai gesuiti, oggi sono tutti emozionati. Gli occhi del mondo intero sono puntati proprio sul Messico, su questa frontiera e sulle persone che l’attraversano. Uno schermo è pronto tra i tavoli e le panche dove i migranti ricevono due pasti caldi al giorno e informazioni sui loro diritti. Sta per essere proiettata la visita del Papa a Ciudad Juarez, altra città di confine dove si raccolgono tante storie e volti di chi è in fuga da violenza e disperazione. Joanna Williams, giovane operatrice della KBI, mi racconterà poi che proprio un anno prima il gruppo dei gesuiti aveva invitato il Pontefice a visitare la città di Nogales “per condividere quello che facciamo qui, qual è la situazione dei migranti e come cerchiamo di umanizzare questa realtà difficile”. Perché il Messico è uno dei paesi con maggior tasso di violenza, dove i cartelli della droga hanno un forte controllo sulla popolazione e uno stretto legame con istituzioni e forze di polizia. Non diversa, se non addirittura peggiore, la situazione di alcuni paesi del Centro America come Honduras, Guatemala, El Salvador dai quali moltissime persone sono costrette a fuggire per povertà e abusi quotidiani da parte di spietati gruppi criminali, che non si risparmiano in uccisioni violente o sparizioni ingiustificate. Joanna mi racconta di quanto sia difficile, nonostante queste siano le situazioni da cui si fugge, riuscire a fare richiesta di asilo negli Stati Uniti, perché serve dimostrare di essere vittime di atti di persecuzione, non solo di violenza. “Se fuggi dal tuo paese – continua l’operatrice – perché tutti i tuoi vicini sono stati uccisi, la tua famiglia è stata uccisa, il tuo negozio è stato bruciato e sei stato avvicinato dai cartelli della droga, potrebbe non essere abbastanza per richiedere protezione, e comunque dovresti attendere almeno sei mesi in un centro di detenzione statunitense”. Per questo molti cercano di passare il confine illegalmente, tanti non ci riescono perché spariscono prima per mano dei trafficanti, o muoiono nel deserto, altri vengono fermati dalla Border Patrol, la polizia di frontiera e inseriti nel sistema penale degli Stati Uniti. “Molti migranti che incontro qui a Nogales – racconta Joanna – mi dicono di essere colpevoli, perché hanno attraversato il confine senza permesso. Non sono minimamente consapevoli dei loro diritti, perché nessuno gliene ha mai parlato. Ma come ha detto il Papa, non si tratta di numeri, sono persone, sono storie, sono esseri umani”.
La frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico è anche una delle più militarizzate al mondo e il sistema di criminalizzazione dell’immigrazione è così profondo che, come racconta Joanna, molte persone interiorizzano lo status di criminale che viene loro attribuito, passando mesi in prigioni e centri di detenzione per essere poi deportati in Messico o in altri paesi del Centro America, trasformati da vittime a criminali. Il lavoro della KBI, quindi, è anche quello di raccogliere le testimonianze dei migranti sugli abusi che hanno subito, sia in Messico da parte dei trafficanti e delle stesse autorità, come la polizia, che negli Stati Uniti da parte della Border Patrol o nei centri di detenzione. Le violenze sono molto frequenti e i migranti sono tra i soggetti più vulnerabili, la cui voce e le cui denunce rimangono inascoltate. “Come la nostra, sono tante le iniziative che difendono i diritti umani dei migranti, e quando il Papa ha fatto riferimento a queste organizzazioni è stato un momento molto emozionate e di grande incoraggiamento, – dice Joanna, e prosegue – il nostro lavoro non è solo di tipo umanitario ma è anche politico. Noi cerchiamo di rispondere al meglio ai bisogni delle persone che incontriamo, ma nel momento in cui diamo cibo, acqua, facciamo fare le telefonate, ti chiedi perché le persone siano in quella situazione e le riflessioni sulle implicazioni politiche delle migrazioni sorgono spontanee”.
Quindi “Mai più morte e sfruttamento”, parole che riecheggiano dall’alto della recinzione tra Stati Uniti e Messico, uno dei tanti muri del nostro tempo, simbolo di ingiustizia e ineguaglianza costantemente sotto i nostri occhi.