Oltre il semplice ricordo

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Lampedusa, Agrigento (NEV), 7 ottobre 2015 – Il gesso di Giusy colora il selciato davanti la chiesa del Santuario di Lampedusa. Dopo ore di paziente lavoro il suo disegno, alla cui creazione hanno partecipato anche altre persone dell’isola, diventerà un barcone che apre il “mare spinato” accompagnato da due mani che lo proteggono. Questo grande disegno sarà poi circondato con i pezzi dei barconi raccolti nell’isola, con adagiati sopra giubbotti di salvataggio e coperte termiche. Attorno a questa immagine, che ricorda i morti del 3 ottobre 2013, si svilupperà poi la cerimonia interreligiosa “Memoria tra mare e cielo”, in un luogo che è stato fra i primi del Mediterraneo a connotarsi proprio per la compresenza tra fedi diverse.
Lampedusa isola di salvezza, dove si intrecciano le storie di schiavi liberati, Madonne che li proteggono e generazioni di confinati politici. Lampedusa, luogo di frontiera sempre più militarizzato e attraversato dal mondo intero, sembra stia trovando la propria identità attraverso questo luogo. La cerimonia del 3 ottobre diventa così anche messaggio all’umanità tutta, messaggio di tolleranza, di rispetto e di reciprocità, di pace e fratellanza. In molti hanno preso la parola, pregando, recitando passi del Nuovo Testamento, del Corano, o di altri testi religiosi, leggendo frasi delle poesie di Erri De Luca. Anche i parenti delle vittime e i sopravvissuti del naufragio di due anni fa sono intervenuti alla cerimonia, ringraziando chi in quel giorno li ha salvati dal mare e ricordando chi, dal mare reso assassino dalle politiche della “fortezza Europa”, è stato preso per sempre.
Molti erano i lampedusani presenti alla cerimonia, e in molti in questi giorni hanno lavorato per la sua riuscita. Del resto chi meglio di loro ha il dovere e la responsabilità di rendere collettivo questo giorno? Chi meglio dei salvatori, degli accoglienti senza nome, può portare sulle spalle il peso di questo ricordo, per renderlo monito perenne ai nostri governanti. Questa cerimonia, nella quale si è percorso un cammino simbolico attraversando le grotte del Santuario di “Porto Salvo”, dove nell’antichità l’eremita di Lampedusa pregava con il Corano o con il Vangelo rifiutando di prendere parte alla guerra di religione, non è forse un messaggio che va oltre il semplice ricordo? Chissà cosa avranno provato queste pietre scavate dal vento e dal mare nel sentire, centinaia di anni dopo, le parole di un tempo. Come mai, ci chiediamo, un luogo come questo non è ancora diventato patrimonio dell’umanità?
Il 3 ottobre al Santuario di Porto Salvo è qualcosa di molto più significativo e intenso di quello che pensiamo, perché Lampedusa attraverso il martirio di questi 368 innocenti sta ritrovando la sua anima più profonda. Sta capendo che da sempre è stata l’isola della salvezza. E’ come se questa cerimonia fosse entrata in sintonia con le radici più nascoste dell’isola, divenendo al tempo stesso strumento per ricordare il passato e vivificarlo nel presente di un mondo grande e terribile, in cui le frontiere e i fili spinati sono le cicatrici prodotte a una terra che è di tutti. Ed è stata per noi cosa terribile sapere che a poche centinaia di metri di distanza dalla cerimonia c’erano altre persone arrivate salve dal mare, ma “recintate” e separate dal resto dell’isola, perché chiuse dentro il Centro di accoglienza diventato hotspot. Ancora più evidente è stata la differenza di atmosfera tra la bellissima e commovente cerimonia del ricordo del 3 ottobre, con la manifestazione dei migranti che si è tenuta qualche decina di ore dopo, durante la quale le persone chiuse all’interno del Centro invocavano libertà di movimento e fine di quella che a loro pare un’ingiustificata detenzione. Un’ attesa dopo la salvezza vissuta come reclusione ingiustificata.

MH
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