di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi Lampedusa, Agrigento (NEV), 27 maggio 2015 – La bellezza di Lampedusa, come di tanti altri luoghi, è la possibilità di guardarla da punti di vista diversi, con sguardi per niente scontati e soprattutto sorprendenti. Quello che si sa di quest’isola non è mai abbastanza e le potenzialità di questo scoglio sono immense, come il mare che la circonda. Lampedusa è metafora di vita, di cambiamento, di spostamento e di crescita, molto di più dell’immagine superficiale e strumentalizzata che ne viene data. Oggi riscopriamo l’isola non solo per il suo splendido mare ma anche per la sua terra, di cui spesso ci si dimentica. Mediterranean Hope ha incontrato Silvia Cama, dell’associazione “Terra! Onlus”, responsabile del progetto sugli orti comunitari a Lampedusa. Questo lavoro, presentato un anno fa, è proseguito durante questi mesi con laboratori aperti alla cittadinanza per sensibilizzare e prendere confidenza con la terra, le semenze e la creazione di piccoli orti, e oggi il progetto è pronto a partire. Il comune di Lampedusa e Linosa ha fornito all’associazione un terreno pubblico proprio nel centro del paese, a disposizione dell’intera comunità e di quanti vorranno riscoprire le ricchezze che questa terra può offrire. Tra i collaboratori anche Legambiente Lampedusa e il Dipartimento di agraria dell’Università di Palermo. La responsabile Silvia Cama ci spiega che “gli orti comunitari saranno innanzitutto un luogo di socializzazione e di scambio di esperienze con l’obiettivo di offrire un nuovo immaginario, interno ed esterno a Lampedusa, riscoprendo le potenzialità che quest’isola ha dal punto di vista sociale ed ambientale. Gli orti comunitari mirano ad essere una piattaforma di condivisione anche di tecniche agricole, per valorizzare la preziosità della terra come luogo fertile per poter autoprodurre del cibo locale e sano”. Infatti, ricordiamo come Lampedusa in antichità era a vocazione agricola ma dopo un grande evento di deforestazione si sia rivolta alla pesca e successivamente al turismo, per arrivare oggi ad essere quasi del tutto dipendente dai prodotti provenienti dal continente. Attraverso gli orti comunitari, prosegue Cama, si vuole “rilanciare la memoria ambientale dell’isola, rivalutare la qualità del suolo e le sue capacità produttive, riscoprendo anche le specie autoctone presenti”. Il progetto è rivolto a tutta la comunità di Lampedusa, a famiglie e singoli che vogliano mettersi in gioco nella coltivazione di un orto. Ci sono però due soggetti specifici che l’associazione ha pensato di coinvolgere, gli studenti della scuola alberghiera di Lampedusa e le persone con disabilità psichiche del centro diurno. Coinvolgere gli studenti permette, racconta Cama, di “seguire l’elaborazione del cibo dalla sua coltivazione alla cura per poi arrivare alla sua trasformazione, inserendo nella cultura scolastica dell’isola la valorizzazione del prodotto locale che, oltre a finire sulle tavole, un domani potrebbe essere esportato”. L’orto diventa poi, per gli utenti del centro diurno, un’occasione importante di incontro con la cittadinanza, attraverso un lavoro che sia stimolante, attivo e anche utile, come la raccolta di rifiuti organici da utilizzare per la produzione di compost. “L’organico, tutto ciò che sembrerebbe scarto – prosegue Cama -, serve all’isola e anzi la rende fertile. L’orto, quindi, diventa un linguaggio metaforico attraverso il quale sperimentare, vivere e raccontare l’isola. Valorizzare la terra e i suoi frutti è un modo per restituire dignità, positività e fertilità a un territorio troppo spesso calpestato da un immaginario negativo. Scopo del progetto, quindi, non è l’orto in sé, l’orto diventa scusa e metafora per il raggiungimento di obiettivi sociali, ambientali e comunitari”. Riscoprire la terra, le sue potenzialità, le semenze antiche, permette di riflettere sulla storia stessa dell’isola, sulla sua identità, sul suo presente e su un’economia che potrebbe non essere legata solo a un turismo passivo e concentrato in pochi mesi, ma destagionalizzato e orientato alla valorizzazione di tutte le ricchezze che questo luogo offre. Il progetto non sarà precostruito, ma andrà con il tempo modificandosi a seconda delle esigenze che emergeranno dall’ambiente ecologico e, soprattutto, comunitario. “Non è una scatola chiusa – spiega Cama – ma un processo permeabile alle riflessione e alla conoscenza della specificità del territorio in cui è inserito”. La responsabile racconta come la scelta di fare gli orti a Lampedusa nasca anche dall’esplicita richiesta di alcuni abitanti dell’isola “di riconquistare uno spazio di condivisione sociale e di esperienze, anche per trasformare il periodo invernale in un’occasione di crescita comunitaria, attraverso il metodo di cura e autoproduzione”. La cura dell’orto significa cura di relazioni sociali, significa coltivare la bellezza di questo luogo scoprendo anche come la natura offra uno sguardo diverso sulle cose. “L’agricoltura – prosegue Cama – garantisce l’orizzontalità dei rapporti, essendo tutti con le mani nella terra l’unica gerarchia è quella data dalla natura, dalla stagionalità, dai tempi di coltivazione e di maturazione. Tutto ciò facilita l’interscambio tra le persone, tra chi è considerato ‘sano’ e chi no, tra i lampedusani di nascita e quelli ‘acquisiti’, così si è tutti alla pari con l’obiettivo comune di far crescere qualcosa, una pianta, un frutto buono e sano”. Ma la metafora dell’orto si apre anche all’importanza della biodiversità e della migrazione in natura, diventando ancora più significativa se si pensa a Lampedusa e alle persone che la vivono e la attraversano. “La biodiversità genera vita – dice la responsabile del progetto -, in un contesto omogeneo c’è la morte. E Lampedusa deve essere luogo di vita, di movimento. Al contrario di quello che pensiamo i semi hanno gambe, non possiamo pensare a piante immobili, nate e cresciute e poi morte e disperse in uno stesso luogo. Le piante viaggiano molto più di noi, la natura si è sempre spostata. Ci sono semi che riescono addirittura a muoversi sull’acqua, sono pollini che come delle ruote camminano sul mare e si possono trasferire da un continente all’altro”. La natura, quindi, ci insegna a vedere da un altro punto di vista le persone che si spostano, che migrano, che vanno e vengono su questo scoglio, fatto di terra e di mare. In un momento in cui Lampedusa si prepara all’estate cercando di vivere una meritata normalità, mentre l’Europa fa di tutto per disciplinare gli spostamenti delle persone costruendo frontiere invalicabili, la riscoperta della terra diventa un mezzo per parlare di biodiversità, di comunità, di relazioni, di orizzontalità tra le persone, di interscambio, passando da risvolti pratici a metafore di vita.